“Buonasera signor Rossi, sono Agnul”, gli faccio la sera che l’ho chiamato.
“Ciao Agnul”, mi risponde lui smonatissimo. Di solito invece è molto gentile.
“Volevo dirle che proprio ieri è morto un ragazzone a Buia. Suicidio. E’ interessato?”, dico con la voce allegra.
“Senti, non devi chiamarmi più. Per favore”. Segue un lungo momento di silenzio. Credevo che riattaccava, mentre invece è come se si aspetta una mia risposta.
“Signor Rossi… è la prima volta che mi rifiuta un pezzo del genere. Le assicuro che è proprio un bel fantat, si è chiuso nella sua macchina in garage e ha acceso il motore… che fa, non le interessa?”. A questo punto la mia voce è incrinata dalla delusione.
“Agnul, tu sei un brav’uomo e ti sei sempre comportato bene. Ma costi troppo. Ci sono dei tuoi colleghi che mi chiedono la metà e mi portano i ragazzi in giornata, non come te. Mi fai aspettare almeno un paio di giorni”.
“Chi è questa gente?”, gli chiedo con rabbia. Il tipo si accorge che sto per incazzarmi e mi risponde.
“Sono stranieri. Rumeni credo. Li ho incontrati su internet in un sito riservato. So che stanno lavorando molto. Sono una squadra e sanno come fare. Tu sei rimasto un po’ indietro Agnul. Ora devo salutarti però”, e il merdone mette giù il telefono.

Insomma, mi stanno fottendo il lavoro. Ho molti soldi nascosti nello stipite della porta di camera mia, ma non ho intenzione di ritirarmi adesso. Ho deciso di smettere a trentacinque anni e continuerò fino ad allora. Ma qui la situazione è davvero tragica. E poi usano il computer per mettersi in contatto con i maniaci. Io il computer non ce l’ho. Non so nemmeno come fare per rimettermi sul mercato. E poi c’è la questione soldi. Questi cagoni vendono alla metà e sono più efficienti. Mi hanno tagliato le gambe.