Le 13 cose è un romanzo nuovo. Un neo sulla pelle liscia della letteratura italiana contemporanea.

Titolo: Le 13 coseLe 13 cose
Autore: Alessandro Turati
Editore: NEO. (Collana “Iena”)
PP: 112
Prezzo: 12,00

Adesso vi dico una cosa che non c’entra niente con la recensione di “Le 13 cose”. Quando ero alle medie alcuni bulli con la faccia a zampogna, che non so cosa sia ma rende l’idea, ci rubarono tutte le cartelle.

Era l’inizio dell’estate e la scuola stava finendo. Qualcuno dei miei compagni di classe già fumava. Alcuni dicevano di aver già fatto sesso. A me non interessava il sesso a quell’età: volevo solo la mia cartella e tornare a casa a giocare con gli exogini e disegnare.

Così, nell’indecisione generale, sono andato verso i bulli zampogna con passo deciso. I tizi ci tenevano sotto scacco con la minaccia di alcuni gavettoni, io pensavo vabbé che c’è l’acqua dentro ma fa caldo, si asciuga subito: al più mi rinfresco.

Mentre mi avvicino, i tizi cominciano a bombardarmi di gavettoni. Probabilmente quel giorno il dio degli sfigati vede la scena e si impietosisce: nessuno dei gavettoni mi prende. Solo uno mi colpisce la gamba ma rimbalza e si spiascia al suolo.

Lo so che la parola spiascia non esiste ma facciamo di sì per oggi, ok? Ad ogni modo, i bulli, a vedermi così deciso se la danno a gambe. Che scemi, penso, potevano darmele. Io prendo le cartelle e le riporto ai compagni. Quelli mi dicono: che scemo, potevi prenderle.

Questa è stata una delle volte della mia vita in cui sono stato coraggioso. Si contano sulle dita di una mano.

Quest’anno ho già acceso il condizionatore. Era sabato 7 aprile e avevo un cacchio di caldo, soprattutto ai piedi. Quando bevo tanto mi si scaldano i piedi. E’ una cosa che ho cercato in internet. Tanti hanno questo problema, non solo perché bevono.

Sui forum c’è scritto: “I miei piedi sono bollenti, non so che fare: aiuto”. I dottori che rispondono minimizzano. Nessuno se ne frega se uno ha i piedi bollenti a questo mondo. Ma io lo so perché ce li ho: perché bevo troppo. E scrivo bevendo anche.

Così adesso scrivo bevendo e ho i piedi bollenti. Non accendo il condizionatore perché io amo la natura. A giorni alterni ma la amo. Un rapporto moderno insomma.

Prima di cominciare la recensione mi sono appuntato tredici cose che volevo dirvi: non abbiate paura però, non la tiro lunga. Son solo cose preliminari, informazioni che vi sono utili e che vi possono servire a capire meglio il romanzo che ha scritto Alessandro Turati che non so se sia parente di Filippo Turati ma non voglio buttarla in politica perché altrimenti non finisce più.

Prima di tutto devo ricordarmi di dire che le edizioni NEO. (il punto fa parte del logo, non è un punto fermo ma forse messo così vi fa un po’ di confusione) abitano in Via Volturno 2 a Castel di Sangro (AQ) e sono state create da due ragazzi che volevano appunto innalzare il neo.

Se mi chiedete cos’è un neo letterario io vi rispondo subito se avete una settimana di tempo, perché sono, per così dire, una specie di esperto nel campo delle cose strane, aliene e diverse in genere.

Il neo è strano. Le 13 cose è un romanzo strano. Mi ci è voluta meno di una settimana, meglio così.

Poi vorrei anche dirvi che le edizioni NEO. hanno pubblicato quello che penso sia una delle migliori raccolte italiane di racconti del nuovo millennio e cioè Antropometria di Paolo Zardi.
Questo mi fa anche venire in mente che, in realtà, “Le 13 cose” è un libro diametralmente opposto ad Antropometria e ugualmente affascinante.

Potrei dire che Antropometria è un levriero afgano e Le 13 cose un meticcio di qualche tipo, il cui pedigree probabilmente conta anche qualche non-cane. Ripensandoci, paragonare i romanzi a razze di cani non è proprio una cosa che un recensore dovrebbe fare perché magari poi qualcuno s’incazza ma tant’è  chi ha capito ha capito e non sono qui per spiegare tutto a tutti. Mi dovrei prendere una bacinella per mettere i piedi a mollo, ora.

Il protagonista de Le 13 cose di Turati non ha un nome. Anzi, ce l’ha: l’autore lo pronuncia una volta sola e dico pronuncia perché questo è un romanzo che va detto prima di essere letto. Uno di quei romanzi che se lo metti in mano a uno bravo su un palco te lo recita tutto e alla fine ti fa ridere e piangere e magari anche incazzare.

Ho scoperto che la gente ama incazzarsi e un motivo l’ho trovato: non si può più combattere l’uno con l’altro. Oh, è una cosa che hanno detto sia Palahniuk che Pitt quindi fra uno bravo e uno bello io ci perdo in entrambi i casi e allora è meglio che mi stia zitto.

Dicevo del protagonista di Le 13 cose: è un tipo strano, che vive vicino ad un bosco con un cane che ha il nome di una principessa etrusca ma molta meno classe (premesso che le principesse etrusche ne avessero).

E’ solo, senza genitori, senza fratello gemello, senza amici (a parte il cane ma non son sicuro che sia proprio un amico) e senza compagna perché il cancro gliel’ha portata via. E’ anche senza lavoro per colpa della crisi. Nel libro non è detto che è colpa della crisi ma io la penso così perché, ultimamente, tutto è colpa della crisi. Forse anche i miei piedi bollenti.

C’è un capitolo di Le 13 cose che si chiama Palingenesi e questa è sicuramente una parola difficile. Visto che sono un amante di parole difficili vi posso dire che il romanzo di Turati è una catabasi. Avete visto che bravo che sono? E’ tutto merito di Elemire Zolla, dei cui libri capisco una parola sì e dieci no.

Di Le 13 cose invece ho capito molto, mi piacerebbe dire che ho capito tutto ma sarebbe come dire che guardando nella notte si vede bene. Alcune cose si vedono, quelle illuminate dai lampioni e dalle insegne dei distributori, altre no. E sono quelle le cose che fanno paura. Però “Le 13 cose” non è che faccia proprio paura. A dire il vero fa anche ridere, in alcuni punti, ma non è un libro che fa ridere nemmeno.

Però, ecco cosa vi volevo dire: nonostante lo stile di Turati sia frammentato, surreale, Apollineo anche quando parla di merda, tutto ha un filo logico e nessuna parola è casuale. Ecco, come direbbe Orazio, l’amico di Topolino: “C’è del metodo in questa follia”. E ci sono anche 13 cose da fare, scritte su un bigliettino dall’amata morta.

Mi son dimenticato di dirvi che il protagonista del libro trova un amico ad un certo punto. Un barbone di nome Burano. A Burano sono stato in gita con la classe ai tempi delle elementari e mi sono seduto sul trono di Attila. Ah: vedo che lo sapete, bravi! Non è a Burano il trono di Attila ma a Murano.

Ad ogni modo, c’è questo barbone che si installa a casa del nostro eroe col suo cane Agon. Della parola Agon non ho trovato molti significati che mi fanno urlare “Nomen Omen!” al tizio barbuto della carrozzeria qui accanto  quindi sarà meglio tacerne. Di Burano invece ci sono alcune cose da dire, meno di 13 però ci sono. Le trovate tutte nel romanzo ovviamente.

C’è anche una bambina nel libro. Una bambina silenziosa, strana e schiva che si chiama Aida. Imparate da me: non usate mai allitterazioni quando scrivete. Vorrei che Zolla fosse qui ad aiutarmi a dire che Aida è una figura salvifica nel libro ma non lo so se è così. Dovete chiederlo a Turati, lui lo sa (Alessandro, non Filippo).

Prima di cominciare la recensione, poi, dovreste sapere che nel libro si citano, fra gli altri, “L’assassino che è in me” di Jim Thompson e i finali delle poesie di Gozzano. Sono tutte e due cose che c’entrano molto con la storia, non ci vuole Zolla per capirlo. Anche ne “L’assassino che è in me” c’è una sorta di catabasi (a questo punto dovreste aver guardato la parola su wikipedia) del personaggio e, quando penso a Gozzano penso a

«Signor mio caro grazie!» E mi protese
la mano breve, sibilando: «Vile!».

che è un bel finale per una poesia e per molte altre cose. Il protagonista di Le 13 cose però non è un vile. E’ un sacco di juta pieno di terra svuotato. In cui rimangono ancora dei rimasugli di terriccio che cerca di scrollarsi via.

Stiamo per cominciare: un’ultima cosa ancora. Lo so che le cose che vi dovevo dire non sono proprio tredici ma io ho cominciato a contare dal primo capoverso non da quando ho scritto che avrei cominciato l’elenco. Bel tocco, eh? Vi piace? Un’ultima cosa, dicevo: Le 13 cose è un romanzo nuovo.

Un neo sulla pelle liscia della letteratura italiana contemporanea. Si parla di neo di bellezza non a caso, sapete. E’ il difetto che rende bello il resto, ma non sono qui a far filosofia spicciola. Son solo qui a dire che sono veramente felice che qualcuno abbia il coraggio di proporre romanzi come questi in Italia oggi.

Scritture forti, invidiabilmente belle, della densità di un buco nero e costellate quanto una galassia. Relativisticamente accelerate rispetto alla media dei testi che leggo in genere. C’è qualcosa di molti scrittori che amo in Turati (sempre Alessandro) e c’è quell’insondabile leggerezza che rende anche il narrare escrementizio più aereo, come quei quadri di Dalì dai titoli coprolalici.

Per questo, anche se magari qualche bravo critico lo potrebbe chiamare Pulp, io credo che Le 13 cose sia alla fine un trattato filosofico sulla fine delle cose.

E magari anche sulla loro palingenesi.

Ecco, adesso ho anche le mani bollenti ma è perché il mio portatile sta per scoppiare. Spero che non mi scoppi in faccia proprio ora perché ho parecchie cose da fare prima di morire. E poi mi piacerebbe proprio trovare un dottore bravo che mi ascolti e mi dica perché i miei cazzo di piedi bruciano.

Dev’essere qualcosa legato alla circolazione, immagino. Purtroppo oggi non ho più tempo di scrivere la recensione che vi avevo promesso, sto un po’ male adesso e ho bisogno di stare qualche ora per i cavoli miei a fumare.