Le famose patate, la recensione di Corrado Ravaioli del romanzo cult di Joe Cottonwood pubblicato da Mattioli 1885.

Le famose patate, la recensione di Corrado Ravaioli del romanzo cult di Joe Cottonwood pubblicato da Mattioli 1885
  • Titolo: Le famose patate
  • Autore: Joe Cottonwood
  • Editore: Mattioli 1885
  • Traduzione: Francesco Franconeri
  • PP: 304

Il reduce del Vietnam Will Middlebrook finisce coinvolto in un regolamento di conti e viene braccato dalla polizia per un crimine non commesso.

Sarà costretto alla fuga, e il viaggio diventerà un’esperienza unica, attraverso le mille facce dell’America, dai boschi della Virginia al degrado di Philadelfia, dal sole della California alle montagne aspre dell’Idaho in un susseguirsi di incontri surreali e toccanti. 

Scritto nel 1978 (e ristampato a dieci anni dalla prima edizione italiana da Mattioli 1885), Le famose patate è stato per anni un oggetto di culto dalla comunità hippie, per i temi trattati e il titolo singolare. 

Ci assomigliavamo tutti come patate. Nessuno di noi avrebbe mai posseduto una carta di credito. O visitato Disneyland. Mai una ragazza ponpon ci avrebbe baciato.

Siamo di fronte a un ibrido difficile da incasellare ma ricco di suggestioni. Prende le mosse da un topos classico della letteratura di genere (protagonista coinvolto suo malgrado in un crimine e costretto alla fuga) e si trasforma in un on the road introspettivo con elementi che attingono a generi diversi: western, pulp e folk.

Alla base del romanzo ci sono alcuni riferimenti autobiografici. Cottonwood, durante i break tra un semestre e l’altro al college, ne approfittava per viaggiare in autostop senza una meta prestabilita. E tra i lavori svolti dall’eccentrico autore, si annovera anche quello di elettricista e idraulico, ma soprattutto esperto di computer, come il protagonista del romanzo. Tutti elementi che sono stati inseriti in questa fortunata opera prima. 

Nessun punto di riferimento

Il protagonista non ha punti di riferimento. Ha perso i rapporti con la famiglia, ha vissuto l’esperienza della guerra e quella della controcultura hippie e degli acidi. Si è sposato e poi separato da una giovane moglie con cui mantiene un legame sottile e tenace. Dai lei, nonostante tutte le avversità, cercherà di tornare più volte, in un continuo tira e molla che costituisce uno dei motori della storia narrata.  

Non importa quanto matta e chiusa divenga, c’è sempre quel fuoco in fondo all’anima e mi basta incontrare il suo sguardo, sbirciarne l’ardore per sapere che tornerà (…)

Nella miglior tradizione della letteratura sul viaggio, il protagonista affronterà le profondità dell’animo umano attraverso un percorso di crescita e consapevolezza.

Durante il suo girovagare tra uno stato e l’altro, Will toccherà incrocerà cento facce di cui non ricorderà il nome, centinaia di esistenze che hanno toccato la sua prima di rimbalzare via, come si legge a un certo punto del libro.

Si troverà a fare il messaggero per una gang di afroamericani a Philadelphia e molto tempo dopo a cercare oro in Idaho. Perché ha la straordinaria capacità di trovarsi al momento giusto nel posto sbagliato.

Conoscerà ogni sorta di freak, nel suo girovagare in autostop. Saranno incontri arricchenti, e in altri casi situazioni pericolose dalle quali scappare nuovamente. In questa avventura picaresca, Will non perderà mai la forza per tornare a Wheeling, per cercare di percorrere ancora una volta un tratto di strada insieme a sua moglie Erica, uno dei tanti personaggi memorabili del libro. 

L’America descritta in questo lungo on the road non è quella delle riviste patinate. È quella dei diner, delle stazioni di benzina e dei vicoli unti e pieni di rifiuti, degli spacciatori e delle prostitute, dei grattacieli anonimi e delle highway percorse al buoi, riconoscibili dalla linea gialla che separa le carreggiate.

È un Paese ricco di contraddizioni, dove vivono molte patate. Nascoste, in attesa di uscire a scoprire il mondo. Come ha deciso di fare il protagonista Will, perché se non corri non vivi.