Massachusetts, Le streghe di Salem ritornano per mano della famiglia Zombie

Rob Zombie è uno dei pochi autori di cinema americani rimasti in circolazione. Frase forte, immagino, ma tant’è  Non saprei dire che cosa mi ha davvero entusiasmato de “Le streghe di Salem” anzi forse un’idea ce l’ho ma la metterò a fuoco per esclusione.

Perché, diciamocelo, la storia dell’ultimo film di Rob non ha certo una trama complicata o piena di cliffhanger vincenti, tutt’altro.  E non potremmo nemmeno sostenere, in modo perlomeno sincero, che gli attori forniscano un’interpretazione da oscar. Proprio per niente!

Intendiamoci, Sheri Moon Zombie non è niente male, ha un carisma infinito, si veste meravigliosamente e il suo potere iconico è davvero di straordinario impatto ma, la recitazione, le battute, non sono certo roba da manuale, così come i personaggi, funzionali alla storia – estremamente, quasi troppo, lineare – vengono relegati in una chiave minimal, naif, e di certo non ti colpiscono per approfondimenti caratteriali o tratti di spettacolare originalità.

Ok. Fin qui, insomma, una quasi fregatura. Aggiungiamo pure che il film non fa affatto paura, ma a dire il vero, nemmeno ci prova, e del resto non sembrava essere questo l’obiettivo di Zombie.

Le streghe di Salem

E allora? E allora Le streghe di Salem vince su tutto un altro piano.

L’estetica anzitutto, a dir poco affascinante. Una specie di pastiche rock più flower power, più hippie, più digressioni metallico-gotico-fiabesche: il tutto per una sorta di cocktail che oltre a giocare in modo vincente con i dettagli, i colori, la fotografia, ha il merito di riportare in primo piano l’impatto iconografico delle immagini, delle riprese, delle invenzioni sceniche.

A partire dalle sequenze dedicate al sabba e poi al rogo, per planare poi su quelle riservate a una Salem livida ma gotica fino al midollo, Zombie azzecca un pamphlet che è – se volete – un manifesto del suo personalissimo delirio visivo e ricava una storia che – complice il budget ridotto all’osso – sfodera una dimensione teatrale che è davvero la chiave originale, e per certi versi forse irripetibile, del suo lavoro.

Non intendo dire che la lentezza, che pure non infastidisce, o le idee portanti classiche – l’utilizzo della musica come messaggio del demonio, le tre streghe, l’esperto di malefici – siano automaticamente e per ciò stesse un plus, ci mancherebbe, resta il fatto che il nuovo film di Rob Zombie propone una chiave narrativa insolita, per le forme utilizzate.

E alcuni colpi geniali come l’omicidio a padellate, il programma radio a tutto rock, il concerto finale sono altrettante chicche che fanno capire quanto Zombie abbia dalla sua uno stile preciso e personale.

Le streghe di Salem

Perciò, pur non considerando questo il suo capolavoro, siamo ben lontani, ebbene credo che gli amanti dell’autore americano troveranno pane per i loro denti, insomma non siamo ai livelli d’eccellenza di “The Devils Rejects”, però quel senso da Disneyland horror, quel gusto così rock per il cinema, quel rimescolare i generi per tirarne fuori qualcosa di assolutamente imparagonabile ad altro – e non è per forza un complimento – ebbene c’è tutto.

Poi, sia chiaro, qui manca un po’ il punch, il colpo vincente, però gli inserti cartoon, la colonna sonora, il gioco costante di rimandi con la cultura pop americana, quel gusto un po’ da cartolina laccata e trash ci consegnano un autore che magari non firma un film straordinario ma confeziona una pellicola originale negli aspetti grafici e visivi, che in un modo o nell’altro ti fanno tenere gli occhi incollati allo schermo.

Insomma, buon intrattenimento pop per gli aficionados di uno dei registi più cult degli ultimi anni, gli altri faranno meglio a pensarci un paio di volte prima di entrare in sala.

Guarda il TRAILER