“Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”. Questa vecchia massima attribuita a Mao Tze Tung spiega il momento che sta attraversando oggi il mondo dell’editoria. L’editoria moderna, nata a Venezia con Manunzio sul finire del ‘400, è arrivata ad una svolta epocale: è ora di iniziare a parlare di “editoria post-moderna”? Credo di si. Ci troviamo in mezzo ad un far west editoriale globale in cui le regole, i device e i formati cambiano giorno dopo giorno. Cosa succederà nei prossimi anni? Nessuno può dirlo, per fortuna. C’è chi vive questo momento con grande preoccupazione ma, per quanto mi riguarda, sono elettrizzato dalle infinite possibilità che abbiamo davanti. Questa sensazione di grande curiosità peraltro era palpabile tra i corridoi del Salone Internazionale del Libro, anche se a Torino quest’anno è emersa ancora di più una separazione netta tra il pubblico che compra e legge i libri, e il mondo editoriale che quei libri li pubblica.  Com’è possibile parlare ad un pubblico multimediale abituato alle presentazioni in stile Apple quando poi non c’era, ad esempio, uno stand che avesse uno schermo digitale? Pochissime le eccezioni virtuose (penso allo stand de La Stampa o di Amazon), in generale ho visto un mondo di dinosauri preso d’assalto da un pubblico che ha voglia di nuovo. Possibile che nessuno si renda conto di quando importante sia costruire un Salone del Libro che abbia anche un visual moderno e accattivante? Si salvava soltanto qualche stand e l’area riservata ai ragazzi, con quasi tutti gli stand dei grandi editori sempre uguali: grandi librerie dove vai a comprare libri. Ma davvero non siete mai stati ad una fiera di qualsiasi altro settore per capire che oggi come oggi è fondamentale spettacolarizzare il proprio prodotto per renderlo vincente? Eppure di esempi in rete ce ne sono tantissimi… (tipo questo). Lo stesso discorso vale per il Lingotto che mette a disposizione una struttura vecchia e che ha lo stesso appeal di una mozzarella scaduta da 2 anni (vogliamo parlare di Londra o di Francoforte?). Tra l’altro spiego velocemente una cosa a chi si occupa degli stand: avere uno schermo LCD con un’immagine fissa del marchio dell’editore o con una slide con le copertine dei libri non è propriamente qualcosa di innovativo.  Ho notato molto più coraggio e voglia di comunicare in forme nuove (e vincenti) da parte di alcuni editori indipendenti che hanno cercato di coinvolgere l’attenzione del pubblico, magari anche solo offrendo un aperitivo tra i libri a base di prodotti tipici. In generale quello che più mi ha colpito in negativo è stato notare come il mondo editoriale italiano non riesca a trasmettere positività: non passa l’idea che leggere è qualcosa divertente. Dev’essere sempre e comunque qualcosa di “culturale” e, di conseguenza, tutto si appesantisce, tutto diventa scolastico. Ad esempio uno degli appuntamenti più attesi nei giorni del Salone è la festa del venerdì di Minimum Fax. In qualsiasi evento del genere (penso alle feste durante il Salone del Mobile a Milano o quelle a Venezia durante la Mostra del Cinema) tutti cercano di imbucarsi ai party più “in”: non è così durante il Salone del Libro. Non avete mai capito il significato di “torre d’avorio”? Andate ad una festa di questo tipo e lo capirete in un secondo: ti ritrovi circondato dai tanti addetti ai lavori che se la cantano tra loro ripetendosi quanto sono bravi e quanto invece il pubblico non capisca nulla. Manca completamente la capacità di penetrare in altri ambiti, non si riesce ad attrarre elementi “altri”, l’autoreferenzialità regna sovrana. Ho il tremendo sospetto poi che gli “addetti ai lavori” quando si parla di editoria in Italia siano un po’ troppi: non dimenticate mai che, come disse a suo tempo Tommaso Labranca, “avere un profilo su aNobii non fa di te un critico letterario”. E poi ci si lamenta se la gente non legge? Come si fa nel 2012 a vendere un prodotto ignorando le più elementari regole del marketing? Come si fa a vendere un prodotto in cui non si crede? Come si fa a vendere qualcosa ad un pubblico che non si conosce? E, infine, è davvero così difficile far passare il messaggio che leggere è per prima cosa divertimento, piacere, che leggere è figo?  Provo a fare un altro esempio: aprite facebook o twitter e data un’occhiata ai vari aggiornamenti degli addetti ai lavori del mondo editoriale (parlo di scrittori, giornalisti, editori e chi più ne ha più ne metta): salvo rarissimi casi nessuno che scriva “sto leggendo un libro e mi sto divertendo un sacco”. Tutti impegnati a commentare in toni acidi e livorosi la trasmissione tv di turno (naturalmente perché non sono invitati, dato che quando si tratta di presentare il proprio libro tutti sono prontissimi a presenziare a qualsiasi programma tv) o a sponsorizzare libri del proprio editore. Si parla di libri solo per scambiarsi favori (con il risultato che la credibilità del sistema è prossima allo zero), per promuovere l’ultima novità del proprio editore, per lamentarsi di Fabio Volo che ha venduto l’ennesimo milione di copie (l’invidia è proprio una brutta bestia). Non c’è niente da fare, non passa proprio l’idea che leggere un libro sia cool. E se i primi a dimostrare di non crederci sono gli addetti ai lavori figuriamo gli altri… Con Sugarpulp stiamo provando ormai da qualche anno a veicolare il messaggio che leggere è divertente, è cool. Siamo convinti che questa sia la strada giusta per avvicinare più gente possibile al fantastico mondo della lettura. Non so voi ma io quando leggo mi diverto. A quanto pare molti di quelli che i libri li “fanno” non la pensano così.   (una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata domenica 27 maggio sul Corriere del Veneto con il titolo “UNA SFIDA PER LA CULTURA: INSEGNARCI CHE LEGGERE LIBRI È DIVERTENTE”)