Les enfants des autres, la recensione di Giacomo Brunoro del film di Rebecca Slotowski in concorso alla 79 Mostra del Cinema di Venezia.

Sono entrato in sala per guardare Les enfants des autres di Rebecca Slotowski senza nessuna aspettativa. Ne sono uscito con le lacrime agli occhi e con la pancia che non riusciva a decifrare tutte le emozioni che stavo provando.

Un film bellissimo nella sua semplicità. Un film che affronta un tema difficilissimo come quello della maternità, anzi dell’assenza della maternità, e lo fa in maniera incredibilmente leggera. E, sia chiaro, la leggerezza è una nota assolutamente positiva per questa storia che riesce a mettere in difficoltà a più riprese lo spettatore.

Gran parte del merito è senza dubbio della regia, calibratissima, e della sceneggiatura, semplicemente perfetta. Ma non si può non sottolineare la straordinaria interpretazione di Virginie Efira che, forse ha interpretato il ruolo della vita.

Slotowski non offre risposte, ricette preconfezionate o soluzioni ideologiche. Mette in scena una donna che vive una vita piena, una vita fatta di emozioni, di gioie, di dolori, di felicità e di tristezze. Una vita vissuta sempre e comunque nel segno della consapevolezza, cosa davvero difficile per chiunque.

Potrebbe essere la vita di ognuno di noi, perché Slotowski riesce a raccontare con una delicatezza incredibile le tante piccole sfumature che a volte rendono pieno di senso un semplice sorriso, un bacio, uno sguardo o un abbraccio. Quelle stesse sfumature che, purtroppo, a volte invece rendono tutto completamente privo di senso.

Una storia in parte autobiografica

C’è sicuramente tanto di Slotowski in questo film, dato che la regista francese ha vissuto una storia d’amore molto simile a quella di Rachel, la protagonista del suo film, con il regista Jacques Audiard (ecco un caso in cui una regista ha fatto benissimo a sostituire lo psicanalista con la realizzazione di un film, cosa che invece non è riuscita a Iñárritu con il suo tronfio Bardo).

Ma la magia dell’arte sta proprio nel riuscire a rendere universale una storia personale, ecco perché chiunque si può ritrovare nella storia raccontata in Les enfants des autres.

E questo a prescindere dal tema della maternità, argomento che comunque Slotowski riesce ad affrontare in maniera sorprendente portando in scena un microcosmo di personaggi che devono fare i conti tutti i giorni con la fatica di vivere. E, a volte, anche di morire. Questo non significa rinunciare alla speranza, alla gioia, alla stupidità felice di una risata fatta tanto per ridere.

Les enfantas des autres racconta una storia che non inizia e non finisce, perché in fondo anche la nostra vita è così, un continuo fluire di esperienze e di emozioni che non sempre siamo in grado di comprendere, elaborare o anche semplice collegare tra loro.

Probabilmente ci sarà anche chi resterà deluso da un una storia che non spiega nulla e che non offre soluzioni preconfezionate. Ma chi se ne frega, ben vengano i film che non rassicurano lo spettatore me che lo buttano con gioia in pasto a quel gran casino che è la vita.