L’intervento di Alberto Barbera, Direttore della 78esima Mostra del Cinema di Venezia
“Il più lento di oggi / sarà il più veloce di domani
così come il presente/ sarà presto passato (…)
perché i tempi stanno cambiando.”
Bob Dylan, The Times They are a-Changing
Come in un ennesimo e deprecabile remake del film Ricomincio da capo, la pandemia che credevamo debellata dal tempo e dai vaccini sembra ripresentarsi ad ondate periodiche, dissimulate sotto mentite spoglie (le varianti), e inanellate l’una all’altra a formare una catena che resiste ai nostri sforzi e desideri di vederla finire. Nelle previsioni di tutti, l’autunno 2021 dovrebbe essere il momento della tanto desiderata ripartenza, più volte rinviata tra lo sconcerto generale.
Non ne siamo più così sicuri, pur se ci sostiene una grande fiducia nella scienza e nella capacità umana di reagire anche alle peggiori disgrazie. Da qui la decisione di realizzare in presenza e con ancora maggior convinzione dell’annus horribilis che ci ha preceduto, la prossima Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, declinando la 78.a edizione che precede di un solo anno la celebrazione del novantesimo anniversario della sua nascita, che risale all’agosto 1932.
Lo faremo all’insegna, ancora una volta, di una calcolata prudenza, affrettandoci lentamente, come suggeriva il sommo imperatore Augusto. Cioè, senza indugi, ma con cautela. E senza perderci d’animo, secondo la chiosa del poeta Nicolas Boileau. Consapevoli della responsabilità che ci attende e delle aspettative di tanti riposte sul primo festival destinato ad aprire la nuova stagione di quel calendario non scritto che scandisce la vita dei cinematografari (detto senza la sfumatura spregiativa che talvolta accompagna l’uso del termine).
Alle nostre spalle, premono per tornare a vedere la luce dei proiettori i film di due stagioni: quelli terminati poco prima o durante il confinamento della primavera 2020, e quelli che hanno trovato la forza e il coraggio per essere realizzati durante il secondo, inatteso (e assai più lungo) periodo di lockdown. Molto numerosi – più del consueto: come se la pandemia fosse servita a stimolare la creatività e far salire il livello della qualità – quelli che avevano le carte in regola per aspirare ad un posto nel nostro limitato programma, e molti quelli che non sono riusciti ad entrarvi per assoluta mancanza di spazio.
Ancora più del solito, la configurazione assunta dalla formazione di questa edizione (perdonate la metafora calcistica, nell’anno dell’Europeo vinto meritatamente dall’Italia) corrisponde alla vocazione di dar voce alla moltitudine di prospettive, generi e aree cinematografiche che da sempre caratterizza il programma della Mostra. Poche le assenze di rilievo (la Cina forse, che però è presente con due corti e alcune coproduzioni – senza contare che c’è pur sempre un film da Taiwan), mentre il resto dei continenti è ben rappresentato.
Tanti film italiani in concorso
Un accenno a parte merita la presenza italiana, più consistente del solito: non per ossequio nei confronti della produzione nazionale, né per aderire a un trattamento di favore inteso a sostenere i nostri colori in un momento di difficoltà. Al contrario, la selezione italiana è la fotografia di un momento di grazia, nel quale cineasti già affermati sembrano in grado esprimersi al meglio delle loro capacità, mentre altri si confermano punti di riferimento imprescindibili per il cinema di oggi e di domani.
La ricomparsa in forze del cinema americano, con il consueto contorno di star e beniamine/beniamini del pubblico, è un altro segnale della volontà di tutti di mettere fine al lungo periodo di astinenza cui ci aveva costretti sinora la pandemia, mentre il ritorno a percentuali pre-pandemiche della presenza di donne registe (cinque nel concorso principale, contro le otto dell’anno precedente, con il 26% sul complesso dei cineasti in selezione ufficiale alla Mostra – era il 28% l’anno scorso, e il 25% nel 2019), è purtroppo la conferma – di cui avevamo già avuto sentore – che il lungo periodo di rallentamento produttivo ha pesato maggiormente sulla componente femminile dell’universo cinematografico, imponendo una battuta d’arresto temporanea al processo di parificazione di genere da tutti invocato e auspicato.
Accanto ai nomi molto attesi e molto annunciati, poi, non mancano le scoperte e le scommesse, affidate ad autori (spesso giovani, e provenienti da cinematografie relegate ai margini di quell’universo produttivo, che sembra voler perpetuare il predominio dei paesi di più lunga e comprovata tradizione filmica): non di rado, sono proprio loro i portatori delle più significative esperienze di rinnovamento di forme, linguaggi ed estetiche destinate a contribuire all’incessante processo di trasformazione del cinema e delle sue molteplici narrazioni di cui avvertiamo il costante bisogno.
Orizzonti Extra
C’è, infine, la novità di una sezione, Orizzonti Extra, che per la prima volta assegnerà un Premio degli Spettatori: non del Pubblico, ch’è un’entità astratta, ma proprio e soltanto tutti coloro che avranno assistito alle proiezioni degli otto film in corsa per un riconoscimento che si vuole di buon auspicio per la loro uscita commerciale.
Nell’insieme, mi sento di poter affermare che il programma di questa 78.a Mostra sia la prova della straordinaria vitalità del cinema contemporaneo. Lungi dall’essere stato messo al tappeto dal Coronavirus e dalla rivoluzione tecnologica destinata a cambiare radicalmente le regole del gioco con le quali abbiamo convissuto per tutto il suo primo secolo di vita, il cinema continuerà a stupire, meravigliare, coinvolgere e commuovere.
Sappiamo di dover fare i conti con nuove modalità di produzione e, soprattutto, con inediti modelli distributivi, destinati ad avere non poche ripercussioni nelle nostre abitudini di spettatori e in quelle di chi opera in un settore così importante e decisivo. Memori della canzone di Bob Dylan, guardiamo al futuro del cinema con rinnovata fiducia e interesse. Non saremo smentiti.
Alberto Barbera
Direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
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