L’inverno della morte rossa, la recensione di Claudio Mattia Serafin del romanzo storico di Pierpaolo Brunoldi e Antonio Santoro
- Titolo: L’inverno della morte rossa
- Autori: Pierpaolo Brunoldi e Antonio Santoro
- Editore: Newton Compton
- PP: 281
Esce in questo settembre 2022 l’ultimo romanzo di Brunoldi e Santoro, per Newton Compton editori; un notevole romanzo storico, di cui in questa sede si anticipano trama, struttura e personaggi, per un sentito invito alla lettura
Si ha avuto modo di leggere, con grande piacere, l’ultimo romanzo di due bravissimi Autori, già noti a tutta la comunità dei lettori, in ispecie a quella degli appassionati di romanzi storici: L’inverno della morte rossa è il suggestivo titolo, che in qualche modo rimanda al fascinoso e inquietante titolo di un racconto di Edgar Allan Poe.
Il testo è ambientato nel VI secolo d.C., in quel difficile momento che anticipa il crollo dei vecchi sistemi e dei vecchi valori, sostituiti dai nuovi (in questo senso, assomiglia moltissimo all’attuale transizione, da un Impero a un post-Impero, oppure da un postmoderno a un territorio ignoto).
Le figure di riferimento sono proprio la regina “barbara” Amalasunta (figlia di Teodorico), suo figlio Atalarico, San Benedetto da Norcia (figura cui chi scrive è particolarmente devoto) e altri, descritti con maestria in incipit, e sembra davvero di ritornare alle parole di altri scrittori, benché saggisti, come Indro Montanelli, che principiava la sua Storia d’Italia (volume 1), con le vicende dei Goti e degli Ostrogoti; e Montanelli era un giornalista, come altri grandi storici outsider (ad esempio si tornerà su Gibbon in chiusura), quasi in contrapposizione con la sterile annalistica dell’accademia.
I fatti descritti
È proprio una comunità monastica a essere sconvolta da alcuni crimini violenti, e si mormora il nome di una paura senza nome, il Lupo Scarlatto, ipotetico antagonista della vicenda.
I “detective”, per così dire, sono due: Tiberio Corvo, un giovane e raffinato senatore, e il conte Optari, guerriero di origini germaniche. Il cast, dunque, risente sia della matrice storica, che dell’odierno gusto per i giochi di ruolo, ove ogni personaggio possiede una caratterizzazione ben precisa, data dalla sua veste (il pensatore, l’uomo d’azione, la figura spirituale, lo sbandato, ecc.).
E infatti, pur essendo un romanzo dalla forte impronta realistica, storica e pulp, con abbondanza di fatti efferati o trucidi, il lettore rimane catturato dalla inebriante mole di informazioni, di un altro Tempo, in un lieve e piacevole torpore fiabesco, da romanzo fantasy, appunto; giusto è stato quindi il recente paragone con l’opera di Ken Follett, mentre chi scrive avverte questo romanzo più distante da “Il nome della rosa” (edito da Bompiani), che per stessa ammissione della critica letteraria, presenta dei tratti contraddittori (ed è stato pesantemente avversato dallo stesso Follett).
Buona lettura
In conclusione, dopo un’estate caratterizzata dalla consueta, discutibile ontologia, dai tratti autolesivi, se non anche nocivi per l’accrescimento culturale (si veda tutto il dibattito Strega), si ha il piacere di affrontare l’autunno con un libro dalla forte valenza pedagogica, che non si fatica a immaginare tra le letture di approfondimento scolastico; e questo volume, peraltro, si accompagna ad altre gradite uscite di settembre, tra cui, a titolo esemplificativo, gli ultimi lavori di Patterson, Cussler, Buticchi, ecc.
Gli Autori, a corredo del testo, hanno allegato anche una nota storica, una cartina locale che geolocalizza le vicende, e una bibliografia ragionata, che tra i vari include Gibbon, indicato non a caso da artisti quali Cormac McCarthy come dato imprescindibile della nostra realtà; buona lettura.