Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti è un film eccezionale, pura pulp fiction italiana. Finalmente un film che osa fuggendo dai luoghi comuni.
Diamo alle cose il loro nome: Lo chiamavano Jeeg Robot è pura pulp fiction italiana e per quel che mi riguarda questo è un grandissimo complimento.
Finalmente un film che osa, che si discosta dai logori stilemi della commedia trash o del noir impegnato cui pare non esistere alternativa oggi in Italia.
Invece il meraviglioso film di Gabriele Mainetti squaderna una freschezza e un’intelligenza d’ingredienti che temevamo perduti e lo dico con tutto l’amore di chi nel pulp crede da sempre.
Ma dico vi rendete conto di quanto potente sia il mix fra manga, anime, canzone popolare italiana, vernacolo romano, comics a stelle e strisce se mescolato a una trama intelligente e che si preoccupa di infilare un’infinita serie di colpi di scena?
E Mainetti prende tutto questo e molto altro, lo centrifuga e filtra attraverso una visione personale, figlia di un gusto che ha, evidentemente, coltivato nel tempo – si vedano Tiger Boy e Basette – e ne tira fuori un gioiello.
Lo chiamavano Jeeg Robot è un film che ha il coraggio di esibire sequenze d’azione sfacciate, concrete, efficaci, pur con un budget non certo stratosferico, un’attenzione ai dialoghi che sembra incrociare Tarantino e le suggestioni icastiche del romanesco di borgata – complice una sceneggiatura splendida di Nicola Guaglianone e Roberto Marchionni aka Menotti – una storia che pare un romanzo picaresco post-moderno capace di prendere i punti fermi ormai stratificati e consolidati in cliché e quindi gli stilemi già visti in Suburra, Romanzo criminale e Gomorra per utilizzarli come spina dorsale di una nuova visione di cinema.
Soprattutto la narrazione è sfrontata come un disco dei Guns: se ne frega di omaggiare credibilità, denuncia sociale e coerenza a tutti i costi e infila peraltro anche questi aspetti all’interno del proprio cosmo narrativo ma lo fa offrendo soluzioni spettacolari e nuove.
Soprattutto non si preoccupa di giustificare le sclete ma si mette dalla stessa parte dello spettatore perché chi gira dimostra di provare uno straordinario amore per il cinema e la cultura pop.
C’è qualcosa di più bello di questo? Non ne ho idea ma per quanto mi riguarda, direi che questo fatto è una FIGATA PAZZESCA.
Claudio Santamaria si ritrova così con un personaggio meraviglioso fra le mani: Enzo Ceccotti è una sorta di piccolo criminale di Tor Bella Monaca che per una serie di (s)fortunati eventi finisce per acquisire dei superpoteri che gli permetteranno di diventare fortissimo.
Ma con buona pace di Deadpool e altre nerdate americane che hanno francamente sfinito, lo spunto viene utilizzato in modo meraviglioso e realmente comico: dal furto del bancomat all’assalto in autostrada a un furgone portavalori, fino al deragliamento del tram è tutta una trovata.
Per non parlare di una serie di chicche meravigliose come le ossessioni – anche visive – che popolano la sua casa: un frigo sfasciato pieno zeppo di vasetti gialli di jogurt e le pile di dvd porno.
Senza contare che ben presto la vita di Ceccotti, già messa a dura prova dal barile di scorie radioattive che gli ha conferito i poteri, finisce sconvolta dall’assassinio casuale di Sergio, cui assiste suo malgrado, e in seguito al quale cade dal nono piano di un palazzo. Sopravvivendo peraltro.
Proprio la figlia di Sergio, Alessia, interpretata in modo magnifico da Ilenia Pastorelli – che arriva dritta dal Grande Fratello 12 – avrà allora bisogno del suo aiuto e, un po’ alla volta, ne nascerà una storia d’amore bizzarra e toccante che non mancherà di regalare momenti di pura commozione.
Ma aggiungete a tutto questo una gang scalcinata di piccolo cabotaggio, capitanata dallo Zingaro, un capetto di periferia sanguinario, al quale Luca Marinelli presta occhi azzurri e talento espressivo da vendere, e ancora una banda della Camorra guidata da una boss spietata e otterrete una trama esplosiva e sopra le righe che non manca di incollare alla sedia e di regalare situazioni al limite del possibile senza darvi la pena di domandarvi se debba esserlo.
Perché Mainetti sviluppa una sua realtà alternativa che – pur paradossale ed estrema – è molto più vera di quel che saremmo disposti ad ammettere.
Perché poi è così che lavora il pulp: ti sputa in faccia la follia della vita con lo sberleffo e il sorriso sgangherato e alla fine scopri che funziona anche così. Quello che immagini come impossibile è già accaduto.
Mi sa che sta cosa del pulp e della realtà l’ho già detta sul pezzo di The H8ful Eight… e be’ ve la ribeccate perché c’è bisogno secondo me di sottolineare come lavori in modo intelligente la pulp fiction.
Potrei citare sequenze deliranti come quella in cui la banda dello Zingaro esplode nel coro di Non sono una signora di Loredana Bertè (geniale) o (SPOILER) magari la sparatoria dopo la scopata con il trans Marcellone, ma alla fine farei un torto al film che è un caleidoscopio di situazioni e incroci formidabili.
Insomma Lo chiamavano Jeeg Robot ha la stessa forza dirompente di Kickass per quanto riguarda il mondo fra cinema e fumetto e ne ha ancora di più se pensiamo che si tratta di un meraviglioso, sorprendente, imprevedibile film italiano.
Andate a vedere Lo chiamavano Jeeg Robot, dite ai vostri amici di fare altrettanto, consacrate questo film come un grande successo al box office perché è attraverso meraviglie pulp come questa che il cinema italiano ha finalmente l’opportunità di tirare una cancellata in faccia a cinepanettoni, commedie spazzatura, sedicenti film impegnati e inguardabili, piccole storie di provincia con NIENTE da dire e PROPORRE una visione di cinema intelligente, spiazzante, popolare, NUOVO.
Finalmente, lo aspettavamo da una vita e, adesso, è arrivato! Una liberazione!