Lo strabismo di Ivano, un racconto inedito di Daniele Treu per Sugarpulp

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Ogni mattina Ivano si svegliava e bestemmiava il bambino Gesù per avergli dato il Bacchiglione. Poi si infilava le pantofole e scendeva in cucina a bersi la sua tazza di brodo freddo. Odiava il buio del tinello ed il gelo di quelle pareti, ma andava bene così, perché più del gelo e della tenebra Ivano odiava le bollette. Defecava distratto mentre dalla finestra del piccolo bagno sporco Manola lo stava a fissare.

Manola era l’ultima vacca rimasta viva dopo l’esondazione. Ivano mostrava i denti alla vacca ma la vacca, distratta, non reagiva. Allora sacramentando si lasciava la porta alle spalle e usciva con addosso gli stessi vestiti della notte.

Il cielo di Caldogno era color carta crespa, la solita piastra liscia di acciaio inox senza nuvole e senza speranza. Sul suo trattore, un Landini rosso del ’94, teneva il poster di Maurizia Paradiso insieme a quattro foto di cani che aveva scattato la sera prima con la polaroid. Era appassionato di randagi.

Quella mattina Ivano era felice perché poteva lasciare Manola tutta sola e dedicarsi a quella cosa che gli piaceva tanto fare. Così dava uno sguardo a Maurizia nuda che si toccava la patatina ed un altro al randagio che mostrava i denti gialli e partiva alla volta del paese. Non gli importava di niente e di nessuno.

Giunto in paese lasciava il trattore parcheggiato in divieto di sosta, ma tutti erano ancora impegnati a levare il fango e l’acqua dalle strade così lui poteva muoversi indisturbato. Vedeva un uomo intento a spalare via la merda del Bacchiglione dal suo giardino ed un altro fare lo stesso altrove. Vedeva una donna dai seni grossi dare indicazioni ad un volontario in tuta gialla. Era una bella tuta giallo canarino sgargiante. E poi vedeva la ragazzina in fondo alla strada che parlava con l’amichetta e proprio in quell’istante ad Ivano scattava lo strabismo.

Lo strabismo era quel fenomeno particolare che gli capitava ogni volta che il sangue gli saliva alla testa e poi alle tempie e poi sempre più giù fino a che non gli pizzicavano i testicoli. E allora la vista gli si appannava ed iniziava a vederci doppio. Tirava fuori una margherita dalla tasca dei pantaloni mezzo bucati e avanzava fiero oltre la strada mentre un vecchio raccoglieva un topo morto da terra.

«Io ti conosco», gridava la bimba dopo aver preso la margherita. «Io ti conosco», insisteva mentre Ivano se la mangiava con gli occhi, quegli occhi tutti storti che gli facevano vedere due nasi, due bocche, quattro gambe e quattro piedi. «Tu sei lo strabico», diceva la bimba.
«I, i…» rispondeva Ivano.
«E che cosa vuoi, strabico?», chiedeva la bambina.
La fo… la fo… la foto…», rispondeva Ivano.
«Me la faccio fare solo se mi dai i soldini».
«I, i…»

La bimba allora si metteva in posa mentre la sua amichetta faceva le smorfie e se la rideva beata. Ivano tirava fuori la polaroid e tutto tremante scattava una foto, una bella foto. Poi ancora tremante estraeva una moneta da un euro e la bambina gliela strappava di mano. Anche la sua amichetta voleva la sua moneta, così Ivano si metteva a fare una foto pure a lei. Nei suoi occhi brillava una raggio di luce d’estasi. La gente nemmeno lo badava, perché ora strade e giardini erano pieni di volontari con la tuta gialla canarino, ad osservare, ad indicare, a dare ordini, tutto per il bene di Caldogno.

Sul Landini del ’94 le foto dei randagi e quelle delle bimbe comparivano insieme sotto la multa per divieto di sosta. Ivano guidava piano perché ci vedeva ancora doppio: il viale alberato doppio con i rami caduti e le foglie rinsecchite; il timido raggio di sole sopra la sua testa spezzato in due come una noce; la striscia bianca continua, un intreccio di serpi ballerine. Aveva il capogiro e il sangue che gli pompava dentro. Sotto.

Caldogno era il paese più bello, più pulito e più amorevole del mondo. Rientrato, saltava giù dal suo Landini e andava dritto dritto verso casa. Lo strabismo era svanito, lasciando dietro di sé solo una chiara e nitida sensazione di benessere. Ivano entrava in bagno e si sedeva sul suo water, adagiando le fotografie sopra lo scagnetto di legno, una di fianco all’altra.

Si sbottonava la patta dei calzoni. Lanciava uno sguardo a Manola, che brucava distratta senza spiarlo né giudicarlo, lasciandolo semplicemente fare. Al culmine della gioia passava da una foto all’altra e i suoi occhi di colpo si inumidivano. Scoppiava a piangere. Non riusciva a far cessare le lacrime. Non sapeva proprio perché. Poi chiedeva scusa, bestemmiava contro il bambino Gesù e contro il Bacchiglione. Infine singhiozzando prometteva di non farlo mai più.