Lo Zoo di Marilù Oliva è un’allegoria di grande fascino e di profondi significati: un vademecum magnifico per comprendere l’Italia di oggi.
Titolo: Lo Zoo
Autore: Marilù Oliva
Editore: Elliot
PP: 189
Prezzo: 12,75 euro
Marilù Oliva è un’autrice più unica che rara. La ragione è presto detta: perché fra le molte virtù della sua scrittura, e dunque dei suoi romanzi, ce n’è una che è preziosa, a maggior ragione oggi, quando tanti romanzieri giocano a rischiare meno, magari sfoderando l’ennesimo giallo della serie… Ebbene quella qualità è il coraggio.
Perché se già il suo precedente libro, Le sultane, aveva sparigliato le carte, il suo nuovo, incredibile lavoro Lo zoo toglie bussola e sestante e ci porta su territori che – se non inesplorati – risultano tuttavia perlomeno selvaggi.
Ho cominciato la lettura di questo romanzo assaporando lo stile raffinato, l’ironia corrosiva, la grande metafora della società ormai ridotta a museo delle cere.
Ho enumerato, dentro di me, le possibili influenze, i riferimenti – David Lynch, Federico Fellini, a un certo punto perfino Agatha Christie, quando la storia sembra virare verso un classico alla Dieci piccoli indiani – ma non c’è verso, non è così e ogni tentativo volto a imbrigliare Lo zoo e Le sultane, in un genere, un’influenza, una definizione, è destinato a fallire.
Quel che è certo è che “ è un romanzo formidabile, una grande abbuffata – per citare Ferreri – di grottesco e malinconico, di poesia e vaudeville, d’impegno sociale e favola, ma forse, più di tutto, di Teatro e di raccolte d’impressioni letterarie, se così si può dire.
Ecco, se dovessi ritrovare un possibile parallelismo mi vengono in mente I racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer o A company of Liars di Karen Maitland o magari, ancora, Se i pescecani fossero uomini di Bertold Brecht.
Marilù è sempre più cantastorie, capocomica d’una compagnia policroma e dondolante di personaggi, che mette in scena alla bisogna, per ritrarre un’Italia stanca e corrotta dal vizio, dalle debolezze, dal provincialismo e dalla volgarità.
Lo fa in modo esemplare, costruendo una trama che assomma le paure e i dubbi di sette bizzarri personaggi – L’Uomo Scimmia, La Donna Anfora, L’Angelo, El Pequeño, La Strega, La Sirena, Il Ciclope – ciascuno di loro potrebbe essere la parodia d’un Arcano Maggiore poiché per certi aspetti ognuno rappresenta qualcosa che va ben al di là del proprio “significante” grottesco.
La storia prevede che la Contessa realizzi all’interno della propria tenuta della Pesculuse, nel Salento, un vero e proprio Zoo, imprigionando in altrettante gabbie sette creature, sette diversi, sette fenomeni da baraccone.
Li lascia alla mercé di un guardiano tanto sgangherato quanto imprevedibile, Quinn Palmer – nome geniale – coperto di muscoli e con una maglietta con stampigliato sopra Mickey Rourke, affinché provveda al loro sostentamento.
Lei, la Contessa, organizza invece una sorta di visita guidata con quella che è la propria Corte dei miracoli, composta da Sindaco, figlio del sindaco, innamorato di una starlette della tivù – Zarita – anche lei puntualmente invitata a contemplare i “Mostri”, un luminare della chirurgia plastica, il dottor Natale Solennità e infine Cristoforo Tommaseo, medico e chirurgo che ha malamente truccato e integrato le stranezze delle sette meraviglie attraverso protesi e impianti.
All’interno della tenuta si consumerà non solo un suicidio ma anche un’autentica fiera degli orrori, originata dall’intreccio d’interessi, favori e ricatti in cui la compagnia della Contessa si dibatte e si avvilisce in un’agonia dorata che somiglia molto da vicino a quella del nostro Paese.
Marilù Oliva è straordinaria nell’innestare un meccanismo giallo all’interno di un romanzo che ha invece tutti i sapori e i colori dell’allegoria e che – ora sì l’ho capito – ricorda molto da vicino, per tinte e toni, il sarcasmo, la scioltezza e la brillantezza del Ciclo degli Antenati di Calviniana memoria.
Lo zoo è allora un romanzo davvero splendido e avvincente, che si compone di molti piani, stratificato, ricco eppure vivace e rapido, fresco, brillante, con frammenti di commedia a illuminare d’una luce incandescente l’abiezione e le miserie umane.
Stupisce di Marilù Oliva, perché noi che l’amiamo non ci siamo ancora abituati alla sua bravura, quel voler accettare la sfida di regalare ogni volta qualcosa di nuovo ai propri lettori: per questo Lo Zoo è un libro che non solo sfugge alle catalogazioni e agli spuntati calcoli editoriali ma rappresenta un ulteriore passo avanti nel personalissimo percorso di quest’autrice che segna una via originale e magnifica nelle grandi terre ancora poco battute della letteratura italiana.
Marilù lo fa attraverso l’attualizzazione di alcuni grandi classici da un lato ma aggiungendo, da meravigliosa alchimista, la propria inebriante miscela letteraria.
Il risultato è un romanzo magnifico e che va letto e riletto perché racconta in modo raffinato e sottile le contraddizioni e le follie di questi tempi e lo fa senza dimenticare improvvise fiammate di crudeltà e ferocia perché, che lo si ammetta o meno, sono proprio la crudeltà e la ferocia le dame invitate al grande banchetto dello scempio che sta dilaniando l’Italia di questi anni.