Lupin è un dolce dalla confezione perfetta ma dal sapore tutt’altro che eccezionale. Una serie che spreca un buon soggetto perdendosi nell’ennesimo banale tentativo di analisi sociologica.

“Di Lupin al mondo uno ce n’è” diceva la sigla del celebre anime giapponese. In realtà, ad oggi, ne contiamo almeno due: quello originale con cilindro e mantello, creato da Maurice Leblanc nel 1905 (e trasposto in passato in pellicole e telefilm) e quello del fumetto (poi diventato cartone animato) del mangaka giapponese Monkey Punch, vale a dire Lupin III.

Ciò che possiamo constatare è che nell’immaginario collettivo degli ultimi decenni il secondo ha indubbiamente, ahimé, superato il primo. Ma tant’è.

Indignati e contro-indignati (e indinniati)

In un’epoca nella quale l’indignazione e soprattutto l’ignoranza corrono a rotta di collo sulla rete, la nuova serie francese distribuita da Netflix e prodotta da Gaumont – intitolata appunto Lupin – ha sollevato tra i fan del personaggio (sia quello letterario che quello del fumetto) un gran polverone, in quanto ad interpretare il ladro gentiluomo è l’attore di colore Omar Sy (Quasi amici).

Un Lupin nero?! Dove sono cilindro e mantello? Oppure, dove sono Gighen, Margot e Ghemon?! Un vero e proprio cortocircuito tra chi credeva che il Lupin originale fosse quello del manga (ignorando che per Lupin III Monkey Punch si fosse liberamente ispirato a Leblanc) e chi, da lettore dei romanzi, si aspettava una fedele trasposizione.

E dopo l’indignazione è puntualmente arrivato l’immancabile d attesissimo momento della contro indignazione politically correct: perché non dovrebbe essere di colore? Siete forse razzisti?

Polemiche basate sul nulla

Peccato che tutte queste discussioni fossero basate sul nulla più assoluto in quanto Netflix ha giocato un gran bello scherzetto a tutti (che la cosa fosse voluta? Nooo…). Lupin ha difatti per protagonista un ladro dei giorni nostri follemente innamorato del personaggio letterario, al quale si ispira.

Niente Arsenio Lupin né Lupin III dunque, bensì un omaggio a Leblanc e in generale alla letteratura giallo/avventurosa rivisitata in chiave moderna con una storia sufficientemente originale, che presenta però incongruenze e difetti che definire grossolani è un semplice eufemismo.

Il primo dei cinque episodi di questa prima parte (in assoluto il più spettacolare e visivamente interessante) inizia come il più classico degli heist movie: il nostro protagonista Assane Diop (notare l’assonanza con Arsène) si cimenta, insieme ad alcuni complici, nel pirotecnico furto di una preziosissima collana durante un’asta nel museo del Louvre, dove si finge addetto alle pulizie.

Ben presto però ci accorgeremo che il suo obbiettivo non è tanto rubare il gioiello ma svelare il mistero che si cela dietro di esso. Grazie ad una lunga successione di flashback scopriremo infatti che il monile è di proprietà del perfido tycoon Hubert Pellegrini ed era andato perso anni addietro quando il padre di Assane, Babakar, autista e tuttofare del magnate, era stato ingiustamente accusato di averlo sottratto. Le false accuse, la conseguente intollerabile vergogna e la delusione avevano spinto Babakar al suicidio in carcere…

Lupin, bene ma non benissimo

Lupin ha dalla sua un buon ritmo, ironia, bravi attori, una discreta regia ma è la classica serie che dopo averla vista vola immediatamente nel dimenticatoio a causa di troppe ingenuità imperdonabili, sviste clamorose e scelte al limite del ridicolo.

Alcuni esempi? Ve ne regalo giusto tre, ma ce ne sarebbero molti di più. Anzitutto gli sceneggiatori vorrebbero farci credere che Assane è stato lasciato dalla moglie perché le dedicava troppo poco tempo. Considerando che è un ladro che realizza solo colpi di altissimo livello – ossia in grado di sistemarti per un’intera vita – come è mai possibile che sia impegnato a pianificare un furto dopo l’altro, senza un attimo di sosta per stare con la sua dolce metà e con il figlio? Peraltro il personaggio, per come viene descritto, sembra amare alla follia la sua famiglia. Mah…

Attenzione, pericolo spoiler (ma senza esagerare)

Addentrandoci sempre di più in zona spoiler vi rivelo inoltre che ad un certo punto Assane avrà fra le mani una videocassetta contenente un filmato in grado di mettere seriamente nei guai Pellegrini e smascherare i suoi loschi traffici. E che cosa decide di fare? Diffondere il video in rete sollevando un polverone?

E no! Il nostro opta per partecipare ad una trasmissione per rivelare in diretta gli oscuri segreti del milionario. Per non essere riconosciuto ricorre a un travestimento a dir poco imbarazzante (un bambino di tre anni che va al carnevale con un vestito fatto in casa è sicuramente più credibile).

E come va a finire? Che la trasmissione è ovviamente pilotata da Pellegrini, il quale ha in mano praticamente tutti i media francesi, il video viene tagliato prima della messa in onda e la videocassetta distrutta. E Assane, colui che si ispira all’ingegno e alla furbizia del mitico Lupin, non ne ha fatto nemmeno una copia. Forse era troppo impegnato a preparare il travestimento.

Se questo passaggio – che francamente mi ha fatto venire voglia di andare a cercare a casa gli autori con una mazza ferrata – non è sufficiente per levarvi la voglia di vederlo vi anticipo un’altra perla memorabile.

Pellegrini mette sulle tracce di Assane un sicario per farlo fuori. Quest’ultimo pedina il nostro protagonista ed è cosi intelligente da seguirlo su un treno andandosi a sedere giusto qualche fila dietro di lui, dove viene immediatamente sgamato…

Scrittura di quart’ordine

È chiaro fin dall’inizio che ci troviamo di fronte a un prodotto senza grosse pretese, ma dover digerire tutto ciò e vedere gente entusiasta nonostante questa scrittura di quart’ordine mi pare eccessivo.

Il bello è che invece di curare i dettagli più basici qui si cerca addirittura di affrontare temi come l’immigrazione, l’integrazione, il razzismo, le disuguaglianze ecc.., sottotesti che sembrano stare molto più a cuore della verosimiglianza di una storia ancora una volta divorata dalla voglia di mostrarsi politicamente corretti e al passo coi tempi.

Lupin è in conclusione una specie di Sherlock dei poveri che malgrado un buon soggetto svacca di brutto, concentrandosi troppo su di un’analisi sociologica (della quale nessuno sentiva il bisogno) che risulta avere lo spessore di una carta velina e dimenticando al contempo di dare alla sceneggiatura quel minimo di credibilità che qualsiasi spettatore dovrebbe esigere.

Insomma, questa serie è come uno di quei dolci dalla confezione e dall’aspetto capaci di ingolosire da subito, ma che al primo morso hanno un sapore molto diverso da quello che ci saremmo aspettati.