Madres Paralelas di Pedro Almodovar, la recensione di Matteo Strukul del film d’apertura della 78a Mostra del Cinema di Venezia
Madres Paralelas di Pedro Almodovar è il film d’apertura della settantottesima edizione della Mostra Biennale d’arte cinematografica di Venezia e, sia detto fin dapprincipio, si tratta di un inizio che non convince del tutto.
Chi scrive non è certo un fan del regista spagnolo ma è indubbio che Almodovar abbia creato un cinema che non c’era, almeno nella prima parte della sua carriera, con pellicole divenute cult come Labirinto di passioni, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Légami e ancora Carne trémula e Tutto su mia madre, solo per citarne alcune.
Però è altrettanto innegabile che, ormai da un po’ di tempo, Almodovar ripeta sé stesso un po’, come sta facendo un altro grande della commedia come Woody Allen. Non è una colpa, ci mancherebbe, e nemmeno un demerito, mi pare, piuttosto, fisiologico che, dopo più di venti film l’originalità venga smorzandosi.
Un film indeciso
Madres Paralelas è un pastiche che non sa bene quale strada prendere – il dramma, la commedia, il melò -, tanto che la coperta si fa decisamente corta. Almodovar prova a costruire un film su una trama esile esile, affidandosi alla musa di sempre, Penelope Cruz, anche lei non certo nella sua miglior interpretazione, per un caso di maternità incrociata che telefona il colpo di scena fin dall’inizio e si trascina in modo ora godibile ora ridondante per due ore esatte di film, lasciando piuttosto freddo lo spettatore.
Ci sarebbe invero una possibilità di riscatto per il film, la intuiamo all’inizio quando Janis – interpretata da Penelope Cruz – chiede aiuto ad Arturo (Israel Elejalde), antropologo forense, affinché quest’ultimo le dia appoggio per finanziare e autorizzare gli scavi della fossa – nel proprio villaggio d’infanzia – che quasi certamente custodisce i resti del bisnonno desaparecido.
Eppure questa linea narrativa rimane appena accennata. In seguito i due finiscono a letto e Janis incinta. In ospedale conosce la sua compagna di stanza Ana (Milena Smit), e da lì nasce una conoscenza che avrà esiti inaspettati, si fa per dire. Non manca una certa verve, qualche battuta azzeccata, un bellissimo uso del colore ma tutto si ferma qui.