Man of Steel: è un uccello? È un aereo? No, è una recensione ed è piena di spoiler.

Poteva andare peggio, poteva essere “Lanterna Verde” di Campbell.

No, adesso sono cattivo, ma facciamo così: stabiliamo un’ideale classifica di riferimento per i film di supereroi. Mettiamo che Lanterna Verde e Catwoman stiano giù in fondo alla scala con un bel 0 sottolineato due volte, mettiamo pure che The Avengers invece si collochi in testa con un 10 più bacio accademico. Dove collocherei “Man of Steel”? Bé, per quanto mi sforzi non riuscirei a dargli più di 6 e mezzo. Facciamo sette perché si vede che il ragazzo si è impegnato, guardatelo come si sta impegnando, qui sotto.

Man Of Steel

Ora, cos’hanno in comune Christopher Nolan e Zack Snyder? Entrambi si sono cimentati in trasposizioni cinematografiche di fumetti, ma mentre Nolan si è concentrato sul realismo e lo script, Snyder ha preferito lavorare sulla sontuosità e la sperimentazione visiva. Entrambi hanno prodotto pellicole a cui il sottoscritto non è certo stato indifferente, ma nella ricerca compulsiva di ciò che loro ritengono le basi del loro fare cinema spesso i due hanno raggiunto una soglia di pretenziosità piuttosto fastidiosa.

In Nolan, ciò si può notare soprattutto (ma non solo) nella trilogia dedicata a Batman: tre colossal dalla durata crescente (rispettivamente 140’, 152’ e 165’) pieni zeppi di dialoghi, sviluppi personaggio e caratterizzazioni. A quasi tutti i fan, l’operazione di reboot nolaniana è piaciuta molto (a dire il vero, dopo la crisi di nervi di Batman & Robin di Joel Schumacher, qualsiasi altra cosa girata con un po’ più di testa sarebbe andata bene).

Io devo dire di non essere un grosso fan del Batman di Nolan, proprio per l’eccessiva verbosità. Il problema è lo sceneggiatore David Goyer, che ha lavorato sia su fumetti, che su serie TV (suo il Blade televisivo) e film.

Il Nostro, nel suo ultimo periodo ha subito una svolta un po’ hipster e si è ammalato di quell’affezione piuttosto pericolosa che si chiama overwritten-ism. Come potrei tradurre il termine? Sovrascrittura no, diciamo piuttosto ultrascrittura. Goyer, alle prese con materiale altrui (ad esempio il Batman di Kane) non scrive una sceneggiatura, la ultrascrive. Crea prodromi, pompa i dialoghi, affastella sottotrame, spiega tutto troppo.

Il risultato è che i tre Batman diretti da Nolan e sceneggiati da Goyer, per quanto fra gli esempi più notevoli di cinema di supereroi sono estremamente noiosi e, in una parola già detta, pretenziosi.

Ovvero: hanno ambizioni troppo alte per quello che in realtà sono. E occhio, non sto affatto dicendo che il materiale derivato del mondo del fumetto non possa essere reso più maturo e giustamente profondo laddove già non lo sia, solo che l’eccesso di scrittura, dovuto al tentativo di colmare la distanza dal realismo (peraltro irraggiungibile), produce delle opere pesanti, lunghe e, come già detto noiose. L’interpretazione di Heath Ledger, il Joker de “Il cavaliere oscuro”, e la sua prematura e sofferta dipartita sono stati forse l’elemento principale della trasformazione dell’intera trilogia in culto. E io sono sempre stato un po’ refrattario ai culti. Vedo gli elementi positivi, ma nulla mi toglie dalla testa che con un lavoro di limatura in più e qualche pretesa di meno la trilogia potesse arrivare al dieci pieno per il sottoscritto.

Il fatto è che il cinema di Nolan si prende estremamente sul serio. Troppo. In questo senso, il primo Batman di Tim Burton secondo me rimane ancora una spanna superiore, dato che credo che il grotesque e l’ironia siano elementi necessari e non accessori quando si tratta del Cape Crusader.

Per quanto riguarda Snyder, il difetto principale del suo cinema è quello di concentrarsi troppo sui visual delle sue opere e non sviluppare i personaggi. A volte la cosa funziona, non è per forza detto che si debba caratterizzare un personaggio a tutti i costi. “Sin City” è oggettivamente un ottimo film ad esempio (secondo me il suo migliore finora). “300”, per quanto possa urtare la sensibilità di molti per la sua scorrettezza politica (l’emarginazione del diverso, il nemico effeminato e laido) lo riguardo sempre volentieri: è un po’ un guilty pleasures, che ci volete fare. Le tre ore e passa della versione integrale di Watchman scorrono che è un piacere benché si prendano alcune libertà (dovute alla trasposizione) sul materiale originale.

I due film che mostrano i difetti della concezione Snyderiana sono “Sucker Punch” (2011), serie di vignette ultracinetiche a compartimenti stagni in cui storia e personaggi rimangono stilizzati in secondo piano, e “Il regno di Ga’hoole” (2010) in cui l’utilizzo perfetto della CG è visto come unico e solo traguardo della pellicola.

Man Of Steel

Fatalmente, “Man of Steel”, prodotto da Nolan e diretto da Snyder su sceneggiatura di Goyer/Nolan si fa portavoce dei difetti dei due registi. È quasi un paradosso, ma la pellicola è sia ultrascritta che troppo innamorata dell’effetto scenico per badare alle caratterizzazioni (sia dei personaggi che degli ambienti).

L’ultrascrittura è evidente nel tentativo di spiegare (ecco qui ancora l’eccesso di realismo di Goyer) tutto su Krypton, pianeta d’origine del nostro eroe, arrivando persino a spiegare ciò che non serve, creando buchi di trama grandi come giganti rosse. Voglio dire, com’è possibile che una civiltà in grado di mandare navi nello spazio per colonizzare altri mondi già diciottomila anni prima dei fatti narrati esaurisca le risorse e non si accorga che il pianeta su cui poggia il culo sta per esplodere da un momento all’altro? Oh, certo, viene detto che i colonizzatori, distanti dalla casa madre, sono tutti morti. Uhm. Volete dire che in diciottomila anni di colonizzazioni avete fatto un fiasco dietro l’altro? Vabbé.

L’ossequio a un presunto realismo poi, mentre si concentra su alcuni elementi, latita in altri. Due esempi fra tutti: Jor-el che cavalca un drago su Krypton (WTF!?!) e il solito buco nero aperto nell’atmosfera terrestre (cari sceneggiatori, se non siete giapponesi evitate di mettere buchi neri nelle vostre trame, soprattutto se avete pretese di realismo).

Man Of Steel

L’eccesso di scrittura di Krypton (vedi anche lo stratagemma del controllo delle nascite per ossequio ai lignaggi) si spalmerà per tutto il film, togliendo aria al protagonista e suoi comprimari. Non a caso, i personaggi migliori sono Jor-el e il generale Zod, vale a dire i kryptoniani. Kal-el, il nostro Clark Kent/Superman, a loro confronto scompare. E non è solo a causa dell’eccesso di scrittura, ma pure per un motivo semplicissimo: Henry Cavill, l’attore che interpreta Superman, è imbalsamato. Vuoi a causa sua, vuoi perché non ha nulla su cui lavorare: è bello, bravo e vola. C’è da dire che se sei in un film con Kevin Costner e Russel Crowe ed entrambi recitano meglio di te, qualche domanda sul futuro te la devi pur fare.

Sinceramente, date le premesse, avrei voluto vedere un film con protagonista Jor-el, magari ambientato tutto su Krypton, dato che della terra si vedono dieci case, quattro grattaceli, una piattaforma petrolifera e un deserto. Oh, si parla anche di Oceano Indiano, ma la scena ivi ambientata poteva essere benissimo stata girata a Sottomarina per quanto è dato vedersi oltre all’effettone CG della macchina terraformante (che sarebbe il caso di chiamare krypton-formante).

In rapidi flashback poi, veniamo a conoscere l’infanzia di Clark Kent. I problemi che derivano dal risveglio dei suoi poteri, l’emarginazione, la rabbia trattenuta. Sì, me l’aspettavo, ma stranamente questi elementi sembrano non fare presa sul personaggio adulto. In poche parole, dei suoi dilemmi poco ce ne cala. La relazione amorosa con Lois Lane poi è sviluppata tanto quanto il mio talento per la danza classica.

L’intero cast terrestre non è affatto caratterizzato, si salva forse giusto il padre terrestre di Clark, interpretato dal povero (!) Kevin Costner. Lois Lane è la macchietta della giornalista d’assalto con dei dogmi morali, i colleghi del Daily Planet, tra cui Laurence Fishburne nel ruolo del direttore e altra gente di cui non ricordo i nomi, servono solo a far numero. Ho trovato sinceramente infantile il tentativo di attribuire a questi omini stilizzati una scena d’azione durante l’attacco a Metropolis (citata, mi pare, una volta sola). Per la serie: come se non avessimo avuto abbastanza materiale su cui lavorare.

I problemi, Nolan e Snyder, se li sono creati da soli: dovevano far stare in 143 minuti le spiegazioni sui perché e percome di Krypton, la storia dell’infanzia di Clark, le lezioni del padre terrestre, la scoperta delle origini di Clark, le lezioni del padre kryptoniano, l’attacco del generale Zod, l’intervento dell’esercito (con una seconda pletora di personaggi inconsistenti), l’indagine di Lois Lane sull’identità di Clark, la sua relazione coi colleghi, la sua relazione con Clark. Oltre a tutto questo, non possono assolutamente mancare un bel po’ di sequenze d’azione.

Troppa carne al fuoco. Troppa roba. Il peso specifico del film raggiunge una massa critica piuttosto presto e, più che confusi, si resta solo in attesa che i tizi sullo schermo smettano di farsi le pippe e comincino a darsele.

Quando succede, vi dico la verità, siamo di fronte al meglio che gli effetti speciali contemporanei possono offrire. La sequenza di combattimento ambientata a Smallville che vede Superman da una parte, Leora (vice di Zod, interpretata dalla bella tedesca Antje Traue) e un non meglio identificato kryptoniano dall’altra (probabile epigono del gigantone imbecille Non del “Superman 2” del 1980) dall’altra, con l’esercito settato in modalità “bombardiamo tutti” è splendida, veloce, ipercinetica e riuscitissima, tanto da ricordarmi le puntate migliori di Dragon Ball Z.

Man of Steel

In conclusione la produzione Nolaniana si vede eccome in “Man of Steel”. È un film che affastella elementi e temi portandoli vagamente a conclusione, a volte disomogeneo fra accelerate e decelerate, ultrascritto in certe parti a discapito del protagonista. In più si prende terribilmente sul serio. Bello da vedere, sicuramente, soprattutto se si manda giù il boccone di una macchina da presa (che termine vetusto) che non sta ferma un solo istante. Avrei preferito vederci dentro più Snyder e meno Nolan/Goyer. O magari uno Snyder concentrato sull’azione e un Nolan consigliere che riempie i buchi di caratterizzazione, ma solo quelli, non di più.

Scene d’azione a parte, per struttura, misura ed equilibrio fra le scene, il miglior Superman cinematografico rimane ancora quello interpretato da Christopher Reeve nel 1978, per quanto naif possa sembrare. Questo rivela anche un sostanziale problema del moderno cinema americano, se da un lato abbiamo registi in grado di portare sul grande schermo le più fantasiose visioni che l’uomo può concepire, da un lato abbiamo sceneggiatori insufficienti a costruire delle trame forti.

Attenzione: forte non deve essere per forza sinonimo di complessa, anzi. La semplicità di una trama cinematografica è il motivo della riuscita di molti film (voglio citare ad esempio Avatar), mentre l’eccessiva complessità, ben lungi da superare il supposto gap tra gli sceneggiatori Americani e gli scrittori tout court, dimostra solo i loro limiti.

In questo, l’affastellamento di trame, sottotrame e story-arc è usato più che come strumento di indagine e sviluppo dei caratteri, come metodo furbetto di gettare fumo negli occhi allo spettatore. Oltre a questo, è necessario ricordare a molti sceneggiatori americani (Goyer sì, ma soprattutto vorrei che lo capisse Lindelov) che un film NON È una serie televisiva. Deve avere tempi diversi, sviluppi diversi e, sostanzialmente, se non si è in grado di disciplinare il proprio materiale, basarsi sulla semplicissima struttura a tre atti.

Per quanto possa criticare “Man of Steel”, consiglio ai fan di Nembo Kid di dargli un’occhiata. Probabilmente, se sono come i fan di Batman che hanno amato la trilogia di Nolan, non resteranno delusi: anzi. Non lo consiglio a chi crede che in un film di questo genere non si debba mai prescindere dal divertimento vero e proprio e dall’ironia (“The Avengers” docet).

PS.
Un drago. Un drago su Krypton. Devo avere il numero del loro pusher.