Maniac, l’ennesimo insipido remake di un cult anni ’80 che non passerà certo alla storia
Regia: Franck Khalfoun
Anno: 2012
Naz.: Francia-USA
Frank Zito è un tipo strano, come può esserlo uno che di mestiere fa il restauratore di manichini femminili con i quali poi ama circondarsi e coricarsi. Quando non riattacca pezzi alle marionette, Frank se ne va in giro per la città ad ammazzare donne scelte a caso, non disdegnando nemmeno le coppiette.
Frank ha pure il pallino di prendersi lo scalpo delle vittime e farlo indossare ai suoi manichini. Ovviamente, Frank ha dei problemi irrisolti con la madre, morta quando lui era in tenera età – ma non così piccolo da non ricordare che la genitrice, oltre ad essere una grandissima zoccola, gli infliggeva pure severe pene corporali. Frank, quindi, facendo propri i due motti popolari per cui “le donne sono tutte puttane” e “ la mamma è sempre la mamma”, è attratto dalle donne (ché pure lui, porello, c’ha le sue sacrosante esigenze) salvo, poi, rivedere in loro la mammina che tanto gli manca, ma che tanto lo aveva fatto soffrire.
Grazie ai suoi manichini, Frank ricrea quindi quell’ambiente familiare da Mulino Bianco che non ha mai avuto ed in cui la madre non lo abbandonerà mai. Capita, però, che un giorno Frank si innamori…
Maniac è il remake, tanto per cambiare inedito in Italia, dell’omonima pellicola cult firmata, nel 1980, da quel mestierante che risponde al nome di William Lustig (sua anche la trilogia di Maniac Cop), il quale oggi produce questo rifacimento unitamente ad Alexandre Aja che ne firma anche la sceneggiatura.
Sorvolando sulla necessità di realizzare un (ennesimo) remake di un film culto (operazione che, a mio avviso, riesce una volta su tre), da nostalgico affezionato al cinema del tempo che fu quale sono posso affermare -con tutta la partigianeria del caso – che questo nuovo Maniac non regge il confronto con l’originale. Quindi, cosa c’è di nuovo e, soprattutto, cosa manca in questa versione delle gesta di Frank Zito?
Beh, innanzi tutto, di nuovo c’è Elijah Wood al posto del mitico Joe Spinell nella parte del maniaco. E non c’è confronto. Spinell (1936-1989 R.i.p.) era splendido, il perfetto emarginato sociopatico: grasso, capelli lunghi e untuosi, la faccia devastata dall’acne e un’espressione da pericoloso cane bastonato che Frodo Wood, con l’ occhio azzurro spiritato, se la sogna solo di notte dopo una fumata di erba-pipa.
Poi, lo script. Maniac 2012 ripropone quasi pedissequamente alcune situazioni dell’originale, solo aggiornandole alla versione 2.0. Per il resto, vi sono variazioni nella storia che, comunque, non ne cambiano la sostanza.
Il fatto che il film sia girato in POV (Point of View), cioè dalla prospettiva del protagonista (tecnica che rimanda palesemente, per quanto riguarda il genere, ai thriller argentiani prima maniera), pur non essendo fastidiosa, tuttavia ritengo non fosse necessaria per l’intera durata del film, nemmeno quale artificio filmico atto a creare empatia tra lo spettatore e lo psicopatico.
Una puttanata da fighetti: chi se ne frega della nouvelle cousine, qui si richiede la carne rossa. Più interessante, invece, è l’idea – legata al POV – di mostrare l’assassino solo occasionalmente tramite la sua immagine riflessa. Non ne comprendo la valenza filmica, ma mi è piaciuta.
Nel reparto “Efferatezze e Truculenze”, nulla da ridire: Maniac 2012 non fa rimpiangere gli effetti di Tom Savini dell’originale, né – come il prototipo – lesina quanto al tasso emoglobinico. Resta, tuttavia, il rimpianto di non vedere riproposta la mitica scena della fucilata con annessa testa esplodente, che rese famoso e famigerato il primo Maniac: probabilmente la solita scelta di compromesso per avere il più commerciale visto PG14, anziché il PG18.
Buona pure la OST, con un tema elettronico in stile anni ‘80 la cui ossessività ricorda i nostri Goblin o, meglio ancora, gli score che Carpenter creava per i suoi film.
Ciò che, invece, manca è l’atmosfera generale: nel 1980 Lustig, da bravo artigiano, sopperiva alla carenza di mezzi tramite una fotografia sporca e livida e ambienti luridi e poveri, restituendoci una New York dall’aria malata, malsana e decadente, specchio (di certo involontariamente) metaforico del marcio che ha creato Frank Zito e perfetto contesto in cui egli si muove.
Oggi, invece, a causa di una fotografia e di ambientazioni pulite, fredde, quasi asettiche e per nulla degradate, si perde completamente l’effetto disturbante che ogni film “de paura” deve trasmettere e che, in ogni caso, fu il punto di forza (oltre a Spinell ed al suo personaggio tagliato su misura per lui) del film originale.
Così, questo moderno Maniac resta un ordinario, anche se non manieristico, slasher movie, godibile come entità a sé stante, ma che, se paragonato al suo modello, altro non è se non una creatura senza cuore. O senza scalpo, se vi pare.