Mank è la dichiarazione d’amore di David Fincher per la settima arte: un film ambizioso che racconta magnificamente la genesi di Quarto potere e la Hollywood che fu.
Ogni qualvolta si cita Quarto potere – per molti critici la miglior pellicola di sempre – la mente corre subito a colui che ne viene considerato universalmente il creatore, vale a dire Orson Welles, genio assoluto della settimana arte e icona della Golden Age hollywoodiana.
Non sono in molti però a sapere che dietro al soggetto originale e alla prima bozza dello script di questo capolavoro si nasconde la penna dell’eccentrico Herman Jacob Mankiewicz, detto Mank, tra i migliori sceneggiatori dell’epoca, parimenti conteso e temuto dalle case di produzione per via del carattere difficile, dei frequenti eccessi alcolici e della passione per il gioco d’azzardo.
La sua storia (e quella della genesi di Quarto potere) viene finalmente portata su grande schermo e fatta conoscere al grande pubblico da David Fincher, che dopo la serie Mindhunter (sul cui futuro si è scritto e detto praticamente di tutto) continua il suo sodalizio con Netflix con una produzione originale attraverso la quale il colosso streaming riafferma la precisa volontà di puntare, oltre che sull’intrattenimento, su progetti di altissima qualità firmati da celebri registi, così come avvenuto nel recente passato per i vari The Irishman di Martin Scorsese, Roma di Alfonso Cuarón, La ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen, Panama Papers di Steven Soderbergh, Annientamento di Alex Garland e 22 luglio di Paul Greengrass.
Mank, il film
Mank – questo il titolo del film – è forse il lungometraggio più ambizioso del cineasta originario di Denver che ci presenta uno spettacolare affresco di Hollywood ai tempi della Grande Depressione, tentando di riproporre lo stile registico e l’esperienza cinematografica dell’epoca.
E lo fa attraverso tutti i mezzi immaginabili: l’utilizzo di uno splendido bianco e nero, inquadrature che richiamano apertamente Quarto potere, un sonoro volutamente datato, la colonna sonora jazz firmata da Trent Reznor e Atticus Ross e le “bruciature” tipiche delle vecchie pellicole.
Il film – la cui sceneggiatura è stata scritta dal padre del regista, Jack Fincher, scomparso nel 2003 – è molto più di un semplice biopic e proprio come successo con The Social Network Fincher utilizza una storia fortemente incentrata su un personaggio per parlare d’altro, in questo caso del mondo del cinema e dell’eterna battaglia tra arte e profitto, della società e della politica americana negli anni ‘30 e dell’enorme potere esercitato dall’editoria e dall’industria dell’audiovisivo nell’orientare l’opinione pubblica.
Un film, tante chiavi di lettura
Mank si presta a numerose chiavi di lettura, contiene svariati sottotesti e parallelismi con il presente mantenendo però sempre il focus sul suo protagonista, uno straordinario Gay Oldman che dopo L’ora più buia (2017) torna a regalare una performance eccezionale, forse la migliore della sua fantastica carriera.
Il suo Herman Mankiewicz è un character assolutamente indimenticabile: un talento cristallino, purtroppo minato da un’indole imprevedibile e dagli eccessi che ne porteranno alla prematura scomparsa. Un grande scrittore dietro al quale si nascondeva un uomo coltissimo ed estremamente fragile, divorato da un male di vivere tenuto a bada soltanto dall’alcol.
Anche questa volta Fincher sforna un film straordinario, che oltre a una regia perfetta conta su una stupenda sceneggiatura dai dialoghi caustici e fulminati ed interpreti impeccabili.
Un film coraggioso
Mank, già candidato a far incetta di premi e riconoscimenti, è una pellicola che è un atto d’amore verso il cinema e al contempo la parabola di un uomo schiacciato dai meccanismi della società in cui vive.
Un’opera che la critica ed i cinefili non potranno che adorare, ma che credo sarà apprezzata solo da una piccola parte del pubblico generalista della piattaforma: questo è uno dei rischi che si corrono quando si propongono contenuti di grande spessore.
Un rischio (calcolato, come anche nei casi citati in precedenza) che Netflix ha deciso di affrontare e che è proprio tra i temi del film, che si sofferma più volte sul difficile bilanciamento –all’interno dell’industria cinematografica- tra arte e risultati al botteghino.
Complimenti per il coraggio: siamo di fronte a un vero gioiello.