Matrix, benvenuto nella tua desertica, nuova realtà. Ripercorriamo i capitoli e le tappe metafisiche della grande serie ideata e diretta da Lana e Lilly Wachowski.

Imminente è l’uscita di Matrix 4, che vede il ritorno dei personaggi principali della saga, a partire proprio dal protagonista Neo, Thomas Anderson, interpretato da Keanu Reeves.

È senz’altro la buona occasione – destinata ai cinefili di tutte le età – per ripercorrere i capitoli e le tappe metafisiche della grande serie ideata e diretta da Lana e Lilly Wachowski.

Matrix, un viaggio alla scoperta di sé

Come ogni valido Bildungsroman, Matrix è un viaggio alla scoperta di sé; secondo le recenti dichiarazioni delle sue autrici consiste in una metafora dal forte valore metanarrativo (“Matrix è una allegoria transgender”).

Il pilastro della trama è abbastanza sconcertante: benché noto, per non rovinare la sorpresa a chi non ha visto il primo film, in questa sede si ricorda la presenza di una realtà virtuale voluta dalle macchine, che tengono sotto controllo gli esseri umani. Vedere per credere: molta dell’azione narrativa si svolge in un’ipotetica metropoli di fine secolo scorso, ove hanno luogo delle conseguenze virtuali di molte delle decisioni assunte nel mondo vero.

Una vera e propria lezione di filosofia e di diplomazia, dal momento che, già a partire dal secondo capitolo della trilogia, si evince chiaramente che quello tra macchine e umani è un dialogo tra specie diverse (si pensi all’incontro tra Neo e l’Architetto), con diverse necessità e scopi finali invero non del tutto lontani tra di loro o distinguibili: la sopravvivenza e l’autoperpetuazione, ma connotate da strane forme di attaccamento alla vita e allo scorrere incessante degli eventi.

Connaturato nella natura umana, in realtà il bisogno di esserci è sottilmente assegnato anche alla razza robotica, ai software, all’intelligenza artificiale: se si pensa che anche gli esseri umani hanno la propria mente connessa a un sistema, le differenze diminuiscono del tutto fino a scomparire.

In un recente studio (F. Monceri, Anarchici, Edizioni ETS, 2014) si fa luce sui più importanti archetipi presenti nella saga, ove ad esempio viene qualificato l’antagonista (si fa per dire) Agente Smith come anarchico, proprio perché egli trova ingiuste tanto le politiche umane quanto quelle artificiali.

Ciò lo porta ad agire in maniera anacronisticamente decisa, efficiente, senza tuttavia produrre alcun risultato tangibile se non la sua propria riproduzione infinita.

Questa volontà all’ennesima potenza si consuma in quel che banalmente rimane una fantasia di potere, il che porta Smith addirittura a soffrire e a non capire, sintomi da manuale della rabbia intellettuale: un percorso davvero notevole, se si pensa che stiamo parlando di una macchina (benché di rango!).

Sospesi tra un passato introvabile e un futuro impossibile

È quanto annunciato in maniera più fisica e concettuale nella cinematografia di Ridley Scott (Blade Runner; come soprattutto l’ultimo, fondamentale Alien: Covenant); le grandi cineaste Wachowski ricorrono invece ad alcuni nuclei insiti nella predestinazione e nella carità intesa come compassione, radicate queste ultime nella grecità classica, quindi risalendo alle origini dell’umanità per come la conosciamo.

Un passato introvabile e un futuro impossibile da predire vengono dunque a coincidere in un presente indefinito, negandolo: il destino dell’umanità si pone a mezza via tra il duro sacrificio e la felicità primitiva (Rousseau), mentre la suddetta Mega City / Metro World è semplicemente priva di senso, sia sul piano spaziotemporale, che su quello logico.

In base a quanto affermato finora – a parere di chi scrive – la presente è l’unica saga, intesa come materia da leggenda – che arriva a negare tutti e tre i tempi storici in un colpo solo, il che è impressionante, oltre che scelta artistica davvero matura e solenne.