Lo spazio “The Now” fra passato e contemporaneità, il nuovo futuro dell’arte.
Il MiArt 2013 colpisce le critiche per la sua modernità, attraverso la quale, per la prima volta, si ritrova ad essere all’altezza delle manifestazioni internazionali.
La fiera d’arte moderna e contemporanea di Milano, che quest’anno ha avuto per direttore Vincenzo de Bellis, è stata strutturata attraverso quattro sessioni distinte: Established ed Emergent, per le gallerie affermate o d’avanguardia legate al mondo dell’arte moderna e contemporanea; Object, dedicata alle gallerie che si occupano di progetti di design per le edizioni limitate); e infine The Now, per i progetti curatoriali. Una serie di mostre bi-personali, dove viene recuperato il concetto di “storico” dell’universo artistico, in un confronto efficace fra settore generazionale e dimensione internazionale.
La presenza di galleristi stranieri, in particolare inglesi e americani, ha dato un nuovo volto alla fiera milanese, considerando che fino all’anno scorso era quasi sconosciuta nel panorama estero: tutto merito di Andrew Bonacina, curatore e direttore di uno spazio per l’arte a Birmigham, che si è particolarmente dato da fare per invitare nuovi volti appartenenti al settore. Molto bella, a mio parere, la sessione The Now, dove passato e contemporaneo si commistionavano in maniera coerente ed efficace, attraverso ottimi accostamenti di produzione. Eccezionali le presentazioni degli artisti Guy de Cointet, Fabio Mauri e Miroslav Tichy nella parte del passato; per la zona Established ho trovato bellissimo il progetto di Andrea Branzi da Isabella Bortolozzi di Berlino , mentre tra le emergenti, ottimo il programma di Arcade Fine Arts , Carlos/Ishikawa da Londra e Laurel Gitlen da New York.
Pare proprio che, a detta dello stesso curatore De Bellis, lo spazio The Now sia stato la chiave interpretativa più apprezzata della MiArt 2013, in quanto “il messaggio di questa fiera è proprio la creazione di un ponte tra l’arte storica e quella contemporanea, guardando al futuro”. In effetti, il concetto di realtà è oggi molto di moda, una chiave di ricerca gettonata per via delle sue molteplici possibilità di creazione. Figlia di una letteratura Pirandelliana che ci pone di fronte al dubbio della vera verità, la nostra quotidianità si scontra ogni giorno con il fattore delle identità aumentate: social network, Instragram, webcam, reflex, Youtube. Ognuno può essere qualcuno di diverso ogni giorno, ogni ora.
Ogni piccola produzione che passa la storia è un pezzo del nostro io lasciato indelebile nelle memorie del mondo, una sorta di immortalità che l’essere umano ricerca da illo tempore affannosamente. Non importa la forma, il modo o il mezzo scelto: ciò che desideriamo è dare prova inconfutabile che in un tempo ben preciso noi eravamo qui, sulla terra, vivi ed operanti. L’arte nasce proprio da questa volontà. Tutto ciò che ci succede nel passato lo teniamo conservato, perché – si sa – “non siamo mai completamente contemporanei nel nostro presente”, come diceva Debray, e quello che siamo oggi non è che la somma di ciò che è successo ieri. Sui nostri mille volti e su tutte le nostre mille sfaccettature si costruiscono le opere d’arte più stupefacenti.
Perciò, visto che ogni giorno, inconsciamente o intenzionalmente, cerchiamo di lasciare un segno che modifichi a nostro piacimento la realtà, l’idea di confondere passato e presente in uno stesso contenitore espositivo si è rivelato essere estremamente efficace ed attuale per la fiera artistica appena tenutasi. Un ben fatto, quindi, al nuovo volto proposto dal miart2013: un ottimo lavoro che accosta l’arte contemporanea, da sempre non troppo comprensibile, alle sue origine passate, in modo che anche l’occhio non indottrinato possa comprenderne il senso senza doverla rifiutare a priori. Un miart finalmente internazionale, che auspica un ritorno dell’Italia fra i paesi più importanti per il mondo dell’arte, in un’epoca dove (purtroppo) la cultura sembra non essere più così necessaria.