Michael Clayton è un film di Tony Gilroy per ogni minuto visto, dolente e malinconico, mai deludente.
Michael Clayton (George Clooney) è un avvocato di lungo corso, con un passato da agguerrito procuratore distrettuale, che ha deciso da (troppo) tempo di mettere esperienza e talento al servizio di uno dei più importanti e influenti studi legali di New York.
Michael – il cui legame con uno dei co-fondatori, Marty Bach (Sydney Pollack), sorta di figura paterna sui generis, sembra andare oltre il semplice rapporto professionale – è una delle pedine più preziose del Kenner, Bach & Ledeen, con il compito di risolvere le questioni particolarmente delicate ben prima che venga concesso loro il lusso di fare danni in un’aula di tribunale.
Alla vigilia della conclusione di un contenzioso multimilionario, messo in moto da un’azione collettiva contro una multinazionale responsabile del mortale avvelenamento di centinaia di persone, la dirompente crisi di coscienza di uno dei legali anziani (un ottimo Tom Wilkinson, che con l’età non smette di dispensare classe) mette in grave pericolo gli interessi del cliente e l’esistenza stessa dello studio. Di fronte a questo, Michael viene forzato a compiere scelte inaspettate e radicali, potenzialmente distruttive per una carriera nata e cresciuta tra mille ombre e compromessi.
L’esordio alla regia dello sceneggiatore Tony Gilroy (L’avvocato del diavolo, The Bourne
identity), con questo film dolente e malinconico, racconto disincantato sulla persistente “ricerca dell’infelicità” da parte di uomini e donne che hanno saputo sterilizzare la propria umanità fino a smarrire quasi del tutto la reale direzione delle proprie esistenze, è uno di quelli che lasciano il segno.
Il solido script – firmato dal regista – si sviluppa con un lungo flashback che si riannoda alla drammatica sequenza iniziale e rivela un autore esperto, la cui scrittura sapiente regala agli attori dialoghi incisivi e affondi brillanti. Naturalmente senza dimenticare la coerenza narrativa e l’efficacia del messaggio, capace di arrivare come un proiettile anche all’attenzione dello spettatore più distratto.
Michael Clayton – che vanta come produttori esecutivi Clooney, il compianto Anthony Minghella e Steven Soderbergh – , impreziosito dalla fotografia livida e glaciale di Robert Elswit, altro valore aggiunto della pellicola, e girato con sorprendente maturità da un Gilroy che del “deb” ha veramente ben poco, completa la sua riuscita grazie a prove recitative di livello assoluto. Tom Wilkinson e Tilda Swinton giocano sul velluto di carriere che non hanno bisogno di ulteriori commenti, mentre un George Clooney pressoché perfetto sfiora la conquista del secondo Oscar, questa volta come (memorabile) protagonista.
E comunque, se anche non bastassero le due ore di grande cinema che la precedono, la lunga chiusura silenziosa, con il primo piano di uno svuotato Michael trasportato da un taxi senza meta verso la seconda parte della sua vita, vale già da sola la visione.