Mona Lisa and the Blood Moon, la recensione di Matteo Strukul del film di Ana Lily Amirpour con Kate Hudson e Jeon Jong-seo.
Che Ana Lily Amirpour sia una regista fuori dagli schemi è un dato di fatto. Che i suoi film siano spesso un treno in faccia anche. Che ci sia una conoscenza profonda della cultura pop in tutte le sue declinazioni è fuor di dubbio e questo, a onor del vero, sembra sconcertare buona parte della critica cinematografica che molto spesso bolla i suoi film come semplice estetica fine a sé stessa.
Succede anche con Mona Lisa and the Blood Moon che invece è il suo lavoro più bello e personale, più compatto e convincente di The Bad Batch, che pure aveva una prima mezzora devastante ma poi andava a perdersi in una sorta di romance post-apocalittico, quando era cominciato come il fratello bastardo di Mad Max.
Un manhwa a New Orleans
Non accade con Mona Lisa and the Blood Moon che sembra un manhwa ambientato a New Orleans in cui Mona lisa Lee una ragazzina coreana – la bravissima Jeon Jong-Seo – segregata in un ospedale psichiatrico con tanto di camicia di forza e dotata di poteri telepatici, evade e si ritrova nel French Quarter.
Dopo una serie di disavventure trova un’amica in Bonnie Belle – interpretata da una formidabile Kate Hudson – spogliarellista stagionata ma bellissima che prima la aiuta e poi un po’ la sfrutta. Fra furti al bancomat, qualche pestaggio e improvvise sequenze di crudele autolesionismo indotto ne esce un film psichedelico con colori acidi e fluorescenti, originale uso di grandangoli, colonna sonora mozzafiato, in grado di alternare brani rock-metal, hip hop a una cover di Bruno Martino Odio l’estate, giusto per dare un’idea.
A questa spettacolare mise en scene contribuisce New Orleans, con la sua paccottiglia dal fascino irresistibile di voodoo shop, juke joint e strip club di quart’ordine, una città che rappresenta il teatro naturale per una storia allucinata come questa, tanto più se nel cielo splende rossa una luna di sangue in pieno stile loup garou, il lupo mannaro della Louisiana.
Il film Sugarpulp di #Venezia78
In questo, la Amirpour è davvero formidabile nel rendere il mix di culture musicali e la varia umanità della città in un patchwork movie che fa della natura meticcia il proprio credo.
Ne esce una fiaba nera da fumetto coreano – il manhwa appunto – che recupera l’action movie anni ’80, alternandolo a momenti da commedia, mettendo al centro un’antieroina outsider, proprio come la Amirpour, una regista coraggiosa e di talento che, proprio per questo, spaventa parecchio una grossa fetta della critica cinematografica che risponde quasi sempre con giudizi ingenerosi. Ma, da vera rockstar qual è, a lei non sembra importare granché.
Insomma, come avrete capito, Mona Lisa and the Blood Moon è il film Sugarpulp della Mostra del Cinema di quest’anno.