Intervista al games designer Gianandrea Cappuzzo, autore del gioco Morgan’s Magic Map pubblicato negli Stati Uniti da Rio Grande Games.

Gianandrea Cappuzzo è un amico di vecchia data di Sugarpulp. Compagno di scorribande a Lucca Comics & Games (e non solo), Gianandrea è un vero esperto ed appassionato di giochi.

Dopo anni passati a giocare però ha pensato bene di iniziare a creare nuovi giochi, e così dopo essersi aggiudicato il Premio Archimede nel 2018, quest’anno ha pubblicato il suo gioco, Morgan’s Magic Map, negli Stati Uniti con la prestigiosa Rio Grande Games.

Dopo un risultato del genere non potevamo non intervistarlo su Sugarpulp Magazine, quindi mettetevi comodi e preparatevi per un viaggio nel mondo del game design e dei pirati.

Intervista a Gianandrea Cappuzzo

Da dove nasce la tua passione per il game design?

Fin da bambino (e tuttora) sono stato un appassionato giocatore. Poi pian piano ho cominciato a modificare regole di giochi che avevo in casa per renderli “diversi”, un po’ come quando si aggiungono o tolgono ingredienti a ricette di cucina codificate, con risultati a volte buoni a volte… meno buoni 😅. Il mio primo prototipo di gioco del tutto originale penso sia databile agli inizi del 2000, un lavoro a quattro mani con l’amico illustratore Carlo Manara; il gioco non ebbe fortuna ma fu un’esperienza fondamentale perché lo iscrivemmo al prestigioso Premio Archimede.  Come attestato di partecipazione ricevemmo un libricino dal titolo “Consigli pratici per inventori di giochi” scritto dall’autore e divulgatore ludico tedesco Tom Werneck. Questa lettura mi introdusse a tutte le questioni teoriche che stanno dietro alla creazione di un gioco da tavolo: meccaniche, dinamiche, ambientazioni… tutti temi che oggi conoscono ampia letteratura di settore ma che vent’anni fa erano quasi “segreti del mestiere”, soprattutto in Italia. Da allora ho continuato a “studiare” e a tempo perso progettare giochi, auto censurando svariate creazioni fino al 2017 quando nacque l’idea per JAP (Just Another Pirate games, così si chiamava scherzosamente il prototipo).

Qual è stato il tuo metodo di lavoro per ideare un gioco originale?

All’epoca stavo approfondendo il diverso approccio al game design di vari autori famosi, cercando di sintetizzare le peculiarità di un design di stampo “germanico” o “americano” o “francese” (è dibattito attuale se si possa definire uno stile prettamente italiano nel game design). Decisi per lo studio di imbastire un prototipo di gioco partendo da un’ambientazione. Ne scelsi una appositamente “inflazionata” per avere uno stimolo maggiore nella ricerca dell’originalità: quanti giochi sui pirati esistono in commercio? Ne serve davvero un altro? Mi sembrò una sfida avvincente e cominciai a elencare su un quaderno (quando progetto giochi sono totalmente analogico 😅) tutti gli elementi di ambientazione che avrei voluto ritrovare nel gioco di pirati “ideale”: tesori, mappe, isole, bussole, duelli, pappagalli… Un elenco decisamente lungo! Il problema successivo era rendere coerenti tutti questi elementi all’interno del gioco, selezionando delle meccaniche che fossero funzionali sia per il flusso di gioco sia per l’immedesimazione del giocatore.

L’idea di base era comunque creare un gioco a basso contenuto strategico (di pianificazione) e alto contenuto tattico (trovare la miglior “mossa” durante il proprio turno di gioco). Questo lo definirei un mio “capriccio” quasi filosofico perché sono decisamente convinto del valore educativo dell’esperienza ludica (si vis vivere disce ludere). Ritengo che la vita, per quanto uno vorrebbe pianificarla (usando quindi la strategia), sia per lo più tattica (bisogna sapersi adattare al momento a situazioni non sempre dipendenti dalla nostra volontà).

Com’era strutturato il prototipo del gioco?

Nel prototipo ogni giocatore possedeva dei “pezzi di una mappa del tesoro” che andavano condivisi e uniti a quelli degli altri giocatori per formare una mappa comune. Una mappa di tipo modulare, che durante il gioco era continuamente modificabile. Per orientare le proprie ricerche ogni giocatore possedeva anche delle carte indizio, basate su dei punti di riferimento disegnati nella mappa comune (per esempio c’è un tesoro a tre passi verso est dal formicaio); la bussola era staccata dalla mappa comune e il suo orientamento modificabile al proprio turno, insomma un bel po’ di variabili da poter/dover gestire al meglio per accaparrarsi i migliori tesori seppelliti in quest’isola misteriosa. Per farla breve, dopo svariati test sempre obbligatori per verificare la bontà e l’efficacia delle proprie scelte, decisi di iscrivere il mio giochino all’edizione 2018 del Premio Archimede e su 158 prototipi provenienti da una decina di paesi diversi JAP venne giudicato il vincitore!

Come sei arrivato a pubblicare negli USA?

Smaltita l’euforia per il riconoscimento ricevuto è cominciata un’altra avventura. La giuria del premio, infatti, è formata dai rappresentanti di alcune delle più prestigiose case editrici di giochi a livello mondiale che, in caso di interesse, possono opzionare vari prototipi per svilupparli ulteriormente e quindi pubblicarli. JAP fu opzionato in un primo momento addirittura da Ravensburger, ma i piani editoriali non sempre coincidono con i sogni degli autori, così dopo un periodo di sviluppo durato quasi un anno non se ne fece più nulla.

Verso fine 2019 l’americana Rio Grande Games (nota soprattutto per aver importato e localizzato negli States alcuni grandi classici Eurogames) chiese il prototipo a Studiogiochi (l’organizzatore del concorso Archimede) e così cominciò l’avventura americana. Ho conosciuto di persona i developers di Rio Grande a Dallas durante l’annuale convention di Board Game Geek (la più importante community on-line di giocatori da tavolo) e in seguito mi è stata data la possibilità di lavorare a stretto contatto con loro per lo sviluppo del gioco.

Ci sono state molte modifiche rispetto al prototipo iniziale?

Dalla forma di partenza del prototipo spesso può capitare che la casa editrice modifichi radicalmente componenti, regole o addirittura ambientazione, seguendo logiche di mercato o proprie linee editoriali, così un gioco di pirati potrebbe per esempio venire riambientato in un fantascientifico mondo spaziale. Fortunatamente nel mio caso le modifiche sono state davvero pochissime: è sparita la bussola, qualche regola secondaria è stata modificata ed è cambiato il nome del gioco, che dopo qualche ulteriore vicissitudine è approdato nel mercato americano come Morgan’s Magic Map a marzo di quest’anno.

A questo punto parliamo di Morgan’s Magic Map: parlaci un po’ del tuo gioco.

Nella versione definitiva del gioco, illustrata da Harald Lieske, la mappa è composta da 20 tessere quadrate; un mazzo di carte “indizio”, un mazzo di carte “tesoro”, una “treasure board”, un bel po’ di dobloni. Quattro pedine pirata completano la componentistica. L’obiettivo del giocatore è far collimare le proprie carte indizio con la situazione in mappa durante il proprio turno. Per far ciò può modificare la mappa spostando una tessera, e muovere di alcuni passi la propria pedina pirata. Se al termine di queste azioni la pedina sulla mappa si trova (ad esempio) a tre passi di distanza dalla “palude”, a uno dal “formicaio” e esattamente sopra alla “tomba” e in mano ha le rispettive carte indizio (palude 3, formicaio 1 e tomba 0), può giocarle per scavare e recuperare un tesoro, tanto più prezioso quanti più indizi saranno stati utilizzati.

I tesori sono suddivisi in 6 famiglie (oro, argento, gioielli, gemme, perle, giada) e alla fine del gioco chi detiene la maggioranza di tesori di una determinata famiglia ottiene un ulteriore bonus in dobloni. Il gioco termina quando viene esaurito il mazzo delle carte tesoro, e naturalmente vince chi ha accumulato più dobloni di tutti.