Nero Caravaggio, un ottimo giallo impreziosito da una componente umoristica che si integra perfettamente con le situazioni, anche drammatiche, che la letteratura di genere implica.

Nero Caravaggio, la recensioneTitolo: Nero Caravaggio
Autori: Max e Francesco Morini
Editore: Newton Compton
PP: 256

Il fascino esercitato da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio va oltre il significato stesso di artista maledetto. La sua figura e le sue opere, nonostante l’oblio a cui fu sottoposto per più di tre secoli, incarnano senza ombra di dubbio il punto di svolta delle arti figurative dell’epoca grazie al crudo realismo e all’uso di soggetti “di strada”. Un rivoluzionario.

Attorno all’artista milanese si sviluppa la trama dell’opera prima dei fratelli Morini,Nero Caravaggio: un uomo viene rinvenuto cadavere all’interno della basilica di Sant’Agostino di fronte ad uno dei capolavori di Merisi, La Madonna dei pellegrini.

Dell’omicidio se ne occupa l’ispettore Ceratti che si avvale “ufficiosamente” della consulenza di Ettore Misericordia e di Fango rispettivamente titolare e collaboratore di una libreria specializzata in testi su Roma. Il primo moderno Holmes, dedito alla riflessione e deduzione, il secondo giallista agli esordi e Watson di conseguenza.

Come scritto in precedenza, Max e Francesco Morini esordiscono nella letteratura gialla con questo romanzo che richiama d’emblée la vena letteraria che ha caratterizzato la prima metà del XX secolo. Il “giallo” alla Ellery Queen, alla Edgar Wallace.

Gli scrittori comunque, vista la loro provenienza dal cabaret e dal teatro comico, fanno sfoggio di una componente umoristica che si integra perfettamente con le situazioni, anche drammatiche, che la letteratura di genere implica. Protagonisti centrali, come nel più classico buddy-buddy, sono Misericordia e Fango, narratore intradiegietico, i quali non solo conducono per mano il lettore verso la soluzione del caso ma assumono anche le vesti da ciceroni nelle puntigliose descrizioni dei tesori della città eterna.

Non il Colosseo, non il Foro Romano ma le chiese, le basiliche, autentici scrigni pieni di sorprese come, appunto, le opere di Caravaggio. E non solo.

Un romanzo che si lascia leggere con estrema scorrevolezza, piacevole e godibile visto anche l’uso sapiente, e non esagerato, del vernacolo romano. Un romanzo che non disdegna la messa alla berlina di una certa fazione della romanità, quell’aristocrazia “nera” per la quale il tempo si è fermato al 1870 e che i fratelli Morini ci mostrano in tutta la sua vacuità.

Rimane comunque il fatto che ti assale una voglia pazzesca di visitare i rioni, i quartieri e tutte le locations che fanno da scenario incomparabile alla trama. EUR compreso. E se certe sensazioni le percepisce un romano da generazioni, figuriamoci, che so, gli amici padovani.

4 barbabietole su 5