Nero d’inferno, la recensione di Corrado Ravaioli del romanzo di Matteo Cavezzali pubblicato da Mondadori.

Nero d'inferno, la recensione di Corrado Ravaioli del romanzo di Matteo Cavezzali pubblicato da Mondadori.
  • Titolo: Nero d’inferno
  • Autore: Matteo Cavezzali
  • Editore: Mondadori
  • PP: 300

C’è qualcosa di ipnotico nel nuovo romanzo di Matteo Cavezzali. Un richiamo verso le radici dell’odio.

Si parla di immigrazione, anarchia e terrorismo agli inizi del ‘900, ma è come se il narratore si rivolgesse a noi. Perché tutto ciò di cui parla Nero d’inferno (Mondadori), è tremendamente attuale. E spinge il lettore a un confronto diretto con il male. 

Partiamo dalla fine, visto che non si corre il rischio di svelare nulla che non sia sul retro di copertina.

Il protagonista del romanzo, Mario Buda, calzolaio partito da Savignano sul Rubicone per gli Stati Uniti in cerca di fortuna come tanti connazionali, si rende protagonista dell’attentato più violento mai avvenuto prima di allora sul suolo americano.

La bomba nascosta in un carretto a Wall Street, simbolo del capitalismo contro cui Buda e i compagni lottavano, lascerà sul selciato 38 vittime e oltre 100 feriti. E lascia ancora oggi un interrogativo importante: come si può compiere un gesto così vile e spietato? Dove affondano le radici di un odio così intenso? 

Come può una persona credere in un’idea al punto da essere disposto a sacrificarle la sua vita e quelle di molti sconosciuti? Ho scritto questo libro per tentare di dare una parziale risposta a questa domanda”. 

Buda, o come dicono gli americani Boda, aveva un sogno come tanti altri. Trovare un posto dignitoso e mettere su famiglia.

Appena sbarcato a Ellis Island scoprirà che gli immigrati, e gli italiani in particolare, vengono sfruttati sul luogo di lavoro, e sono bersagliati quotidianamente da episodi di razzismo. Comincerà così a covare un risentimento sempre più profondo, alimentato dalle frequentazioni di altri anarchici italiani, come Luigi Galeani. Un rancore che prenderà la forma di atti intimidatori. Fino all’attentato a Wall Street. 

Che fine ha fatto Mario Buda dopo quel tragico gesto? Con uno stile che mescola sapientemente fiction, inchiesta giornalistica e dati storici, Cavezzali ne ricostruisce la figura attraverso le testimonianze dei conterranei fino ad allargare le ricerche oltreoceano.

Dal libro emerge un mosaico composto da voci e punti di vista differenti, quelli delle fidanzate o dei compagni anarchici, dei rappresentanti della legge o i cronisti coinvolti all’epoca dei fatti.

Una pagina dopo l’altra, si ottiene un’immagine sfaccettata del profilo di Mario Buda perché ogni testimone sembra parlare di un uomo diverso, ora depravato o violento, romantico o divertente, rendendo l’indagine sul protagonista ancora più affascinante. 

Al tempo stesso emerge in maniera prepotente l’affresco sociale di un Paese, gli Stati Uniti, che all’inizio del secolo rappresentavano il sogno di tanti immigrati. Un luogo in cui la provenienza era etichettata sin dall’arrivo. Cinesi, indiani, italiani, russi. Tutti trattati alla stregua di animali, buoni per i lavori più umili ed emarginati perché stranieri. 

«Agli americani non piacevano gli italiani. Forse perché ce n’erano troppi, forse perché davano problemi. Fatto sta che non piacevano. Ci chiamavano wops, white niggers, mangia maccheroni, selvaggi. Dicevano che puzzavamo, che il nostro sudore era diverso dal loro e mandava fetore di aglio, che non ci lavavamo, che eravamo delinquenti, ladri, truffatori, che facevamo rapine, che accoltellavamo le anziane mentre andavano al parco, che rapivamo i bambini per mandarli a lustrare le scarpe, che violentavamo le loro donne, che sputavamo per terra.»

È una storia che suona familiare. Forse perché il fenomeno migratorio ci tocca da vicino? La domanda dovrebbe essere retorica. Se così non fosse, Il libro permette leggere il presente con uno sguardo più consapevole, per ricordarci che un tempo coloro che lasciavano il proprio Paese per necessità e raccoglievano odio razziale eravamo noi.