L’intensa bellezza di Nico 1988. La recensione di Matteo Strukul del film di presentato oggi alla Mostra del Cinema di Venezia.

Primo giorno alla mostra del cinema e subito arriva la sorpresa che non ti aspetti, il colpo che sovverte qualsiasi pronostico.

Vai a vedere alle nove del mattino il primo film in concorso Downsizing di Alexander Payne con Matt Damon, e poco più di due ore dopo ti rendi conto che la vera bomba atomica è il biopic Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli, regista italiana nata nell’anno di grazia 1975, che dedica un ritratto strepitoso alla Sacerdotessa delle Tenebre, musa di Andy Warhole e cantante dei The Velvet Underground.

Tutto azzerato, insomma.

Carina la parabola-favola di Alexander Payne in stile sci-fi dedicata al rimpicciolimento dell’essere umano come soluzione alla sovrappopolazione del pianeta, divertenti i meccanismi narrativi e non privi di una loro efficacia, ottimo Christoph Waltz e sempre solido Matt Damon ma il sole splende da un’altra parte, almeno secondo noi di Sugarpulp.

Perché la produzione italo-belga che mette al centro la figura di Christa Päffgen, in arte Nico, ha avuto il coraggio di dare ali al progetto di una delle più talentuose registe italiane, finanziando un film davvero magnifico che cattura gli ultimi anni della celebre cantante, attrice e modella tedesca.

Presentato nella sezione Orizzonti della mostra, Nico 1988 racconta – con una scrittura nitida, efficace, potente – i tour di fine anni ’80 dell’iconica artista, esaltando la dimensione ruvida, tesa e lisergica di una protagonista fuori tempo massimo. Nico viene resa in modo indimenticabile da Trine Dyrholm, attrice danese che firma una prova interpretativa gigantesca.

E scoprire una gemma del genere fa ancora più piacere perché quello visto è un film italiano, capace di disegnare una prospettiva internazionale per il nostro cinema in modo davvero concreto.

Merito di una regista, e sceneggiatrice, che racconta con passione e grande intensità un personaggio storico della musica, andando a svelare la donna dietro l’icona, ricostruendo gli ultimi anni della sua vita, i meno conosciuti ed esplorati, quelli perfetti per permettere a regista e attrice protagonista di plasmare, con una ricostruzione rigorosa e attenta, un’artista completamente diversa e spiazzante rispetto alla prima immagine che potrebbe venire in mente pensando a Nico.

Spazio quindi ai concerti in Europa dell’Est, all’amore per il figlio Ari, ricostruito un pezzo alla volta, al difficile rapporto con l’eroina, alle intemperanze con i giovani musicisti di una band che sembra troppo acerba per comprendere l’aspra e spigolosa complessità di una donna come Christa.

Splendide le musiche originali e gli adattamenti in colonna sonora della band italiana Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo e devastante l’interpretazione vocale di Trine Dyrholm che canta, quasi riposseduta, brani dai testi magnifici e colmi di poesia, sostenuti da suoni rabbiosi e sperimentali, precursori di quello che, storicamente, diventerà il gothic rock.

Si tratta di un’opera commovente e graffiante a un tempo che, raccontando debolezze e fragilità, geometrie di rapporti e egoismi, stranezze e piccoli episodi quotidiani, restituisce un ritratto vivido, credibile, profondamente originale, senza per questo tradire lo spirito ribelle di una delle grandi protagoniste dell’arte fra fine anni ‘60 e ’80, un road-movie fra Parigi, Manchester, Repubblica Ceca, litorale romano e Polonia che immortala caduta e redenzione di una grande artista, come a dire che la perdita del consenso e del grande successo significarono per Nico la vera conquista della libertà.

A esasperare il conflitto fra estetica anni ’80 e carica quasi eversiva di una donna simile, Susanna Nicchiarelli sceglie un formato video quadrato, suggestioni e luci in pieno stile Eighties, soluzioni visive che fanno letteralmente a pugni con un’artista che pare essere appena stata risputata fuori dall’inferno dei Sixties.

Un film straordinario, coraggioso, affascinante che merita di ottenere un successo internazionale per la sensibilità autoriale e la forza espressiva, con attori meravigliosamente diretti e perfettamente in parte; una pellicola che dimostra come la via della coproduzione, opportunamente supportata dalla RAI, sia la strada maestra per offrire un cinema italiano di grandissima qualità, in grado di smarcarsi dalle solite piccole storie e commedie che troppo spesso ci hanno condannato a restare provincia dell’impero.

Applausi.