Ultra-violenza e poesia nel nuovo gangster-movie del maestro coreano, la mia recensione di Night in Paradise di Park Hoon-jung.

Night in Paradise (Nak-Won-Eui-Bam) di Park Hoon-jung è la prima, grande sorpresa della 77ma edizione della Mostra del cinema di Venezia e si candida a vera e propria perla Sugarpulp.

L’inarrestabile ascesa del cinema coreano

Che la Corea del Sud sia un’infinita fucina di maestri assoluti del cinema è un fatto acclarato: bastino, in questo senso, titoli come Snowpiercer e Parasite – autentico trionfatore agli Academy Awards 2020 – di Bong Joon-ho, Oldboy di Chan-wook Park, The Chaser di Eom Joong-ho e I saw the devil di Jee-won Kim.

Fu proprio quest’ultima, magnifica pellicola, a rivelare un grande sceneggiatore che, grazie al successo di quel film, riuscì poi a imporsi come regista. Mi riferisco a Park Hoon-jung.

Suo è, infatti, uno dei film più estremi e sanguinari di questa mostra del cinema: Night in Paradise, gangster movie che mi riporta alla memoria capolavori della cinematografia asiatica come Brother o Outrage Koda del maestro “Beat” Takeshy Kitano o, per rimanere in Corea del Sud, The city of Violence di Ryoo Seung-wan.

Gangster movie

Parliamo quindi di un film che sposa in pieno la tradizione di ultra-violenza e melodramma che caratterizza le opere dei maestri del Far East ambientate nel mondo della criminalità organizzata.

La storia è un classico intramontabile: Tae-gu è membro di una gang della mafia coreana. Dopo aver perduto sorella e nipote in un incidente d’auto, scopre che quanto accaduto è stato ordito dal capo di una gang rivale. Sobillato dal proprio superiore e annichilito dal dolore, si introduce in un bagno turco per parlare con il boss nemico e afferrato un coltello scatena una mattanza.

Sopravvissuto, si rifugia presso i suoi che lo spediscono in un’isola dove nascondersi fino a nuovo ordine. Ma niente è come sembra in Night in Paradise e gli eventi prenderanno una piega inaspettata e ancor più sanguinosa di quanto si potrebbe immaginare.

Cominciare bene

Come nella miglior tradizione, il film alterna momenti di grande poesia a sequenze d’azione fulminanti e crudeli.

Visivamente sontuoso, con riprese di una natura dalla bellezza mozzafiato, dialoghi che non rinunciano all’ironia e alla saggezza popolare, personaggi ai quali ci si affeziona perché ben modellati e con una punta di anti-convenzionalità, ritmo che pare rallentare per poi impennarsi improvviso nelle sequenze più efferate.

Night in Paradise si è rivelato fin dall’inizio come il miglior film possibile con cui aprire il mio percorso a questa settantasettesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Gangster movie d’autore, il film di Park Hoon-jung è, senza alcun dubbio, il più Sugarpulp fra quelli proiettati nei primi giorni.

Night in Paradise, ovvero l’ineluttabilità del destino

Mescolando la cultura del Manhwa (fumetto coreano) d’azione e ancor di più del webtoon – il comic online – con intuizioni originali e una regia assolutamente personale che non disdegna l’eccesso, anzi pare quasi cercarlo, il film svela un po’ alla volta un personaggio femminile dal fascino sorprendente.

Con il passare dei minuti, insomma, Jae-yeon, la ragazza condannata a morte certa da una malattia incurabile che Tae-gu incontra nell’isola, diventa l’ideale contrappunto emozionale e narrativo del protagonista. Fiera e indomita, malgrado il suo tragico fato, diviene nella seconda metà del film l’improvvisa forza trainante.

E tuttavia l’ineluttabilità del destino vale per lei come per Tae-gu e quel senso di melanconia e di dramma incombente che avvertiamo dai primi minuti non abbandona mai lo spettatore. 

Insomma, se solo due anni fa Shinja Tsukamoto – grande maestro giapponese – mi aveva regalato la perla nascosta della settantacinquesima edizione della mostra, con il film di samurai più folle e geniale della mia vita – l’indimenticabile KillingPark Hoon-jung fa esattamente lo stesso in questi primi giorni, grazie alla poesia sanguinaria di Night in paradise.