NordEstero: che s’ignori, nella vostra piazza!
Titolo: NordEstero
Autore: AA.VV.
Editore: Spritz letterario edizioni
PP: 298
Prezzo: n.d.
Mi avete dimenticato nel riflesso della vetrata, nel tintinnio assordante dei bicchieri. Sono scivolato sotto un tavolo e chi s’è visto non mi ha visto. Pensavo si parlasse di me, questa sera, di passare di mano in mano, di essere adulato e dedicato.
Provo a urlare ma parlate troppo fitto. Ridete, brindate, già accennate alla prossima racconta di raccolti e viceversa. Cos’è, non vi basto? Non sono un’opera totale, un capolavoro della letteratura, un must? Mi usate per conoscere gente? Leggenti? Nuovi scriventi? Tanto non cambia niente, sul fronte nord-orientale.
Voi mi avete fatto, eppure non mi capite. Io non vi capisco, eppure vi comprendo. Racchiudo cose che neanche sapete di avere, in questo Nordest che ci ignora tutti. Tipo il tempo che vi siete svenduti, brulicando come formiche operaie e/o imprenditrici. Mentre ve ne andate in giro cordialmente, in comune disaccordo, io conservo le foto che avete scattato con le parole, le immagini che avete sognato, i paradossi che non avete osato inventare, perché esistevano già.
Da qui sotto, guardo passare le vostre scarpe stilose, firmate, radicali e chic. Ci penso io a quelle di cartone dei vostri nonni, non vi preoccupate. Ogni tanto, una mano curata alla french, dimentica le unghie rotte della Grande Guerra e non vede quelle sporche dei nuovi schiavi. Io mi ricordo tutto. Il profumo del minestron de fasoi, della polenta e sparagagna, delle sarde in saor che avete deodorato con il . Io non dimentico niente e, non scrivendo, non posso neanche elaborare. Discutete pure di letteratura, arte, eventi e vernissage. Io, nel frattempo, ascolto le mie pagine. E sento il tonfo dei suicidi, lo strappo delle dignità violate, il tuffo nel vuoto dell’apparenza.
Scrivete un racconto su di me, al prossimo Spritz Letterario. Raccontate che mi avete pensato, discusso, scritto, portato qui e scaricato. Dite anche che ho la mia cinquantina di racconti, a farmi compagnia, che non mi serve altro. Li mescolo, li rileggo in ordine inverso e li confondo, fino al colpo d’occhio di un mosaico. Fino a poter raccontare io stesso la grande regione della mente in cui viviamo.
Siete più fieri di come siete o di come mi avete scritto? Guardatevi: stranieri in casa vostra, indigeni sotto un tetto che è sempre più di qualcun altro, vi lamentate di chi si lamenta. Dei negri, dei foresti, della nebbia, dei ladri, delle tasse, del troppo lavoro e del poco lavoro insieme. Me li avete descritti dentro come se si trattasse di cose normali. E poi la solidarietà, la musica, il buon mangiare e il miglior bere, le tradizioni e blablabla, come se bastasse a fare pari.
Intanto, mi avete abbandonato a leggermi addosso, tra un’alluvione e una catena di montaggio. Vi sono scivolato dalle mani, mentre vi perdevate in un bicchiere di spritz, allo stesso modo in cui mi avete scritto. C’è grosso spreco, sotto al tavolino: ci sono io che voglio andare dappertutto. Vorrei tornare in tutti i luoghi che contengo, nei pensieri dei miei personaggi, nelle dinamiche assurde che mi hanno portato a esistere. Vorrei andare negli occhi che non mi hanno ancora letto, tra le mani della gente, sotto le matite di chi si vuole ricordare.
Voi che vivete sicuri, nelle vostre associazioni culturali, considerate che questo è un libro. Anche se chi l’ha scritto non è un gruppo di scrittori.