La Nuova Retroguardia, un editoriale di Francesco Ferracin per Sugarpulp MAGAZINE.
Strani giorni. Cantava Battiato, alla fine del millennio scorso, come sempre in anticipo sui tempi.
Strange Days. Ralph Fiennes, andava a caccia di trafficanti di esperienze altrui, poco convinto che il nuovo millennio avrebbe portato qualcosa di buono, come profetizzava Billy Idol, il cibernetico cantore della distopia cyberpunk.
Strani giorni…
In occidente imperversava l’ottimismo di quelli che erano convinti che la storia fosse giunta al suo lieto fine; nella loro bolla non si rendevano conto che la storia, lungi dall’avere una fine (o un qualsivoglia fine), stava invece incominciando ad avvolgersi su sé stessa, in un maelstrom neuromantico destinato a trascinare a fondo quel poco della nostra cultura che i loro genitori erano riusciti a mettere in salvo da una guerra – e un dopoguerra – devastanti.
Il cosiddetto “pensiero unico”, partorito dalle utopie fine ottocentesche e propagato dalle avanguardie storiche e contemporanee, si espandeva nel villaggio globale come lo sprawl di una metropoli cinese, e nel suo allargarsi insensato sradicava tutto quello che ostacolava il suo cammino. Nutrito da una dialettica fra omologhi camuffati da contrari, avanzava inesorabile, come il Nulla di Michael Ende, fagocitando luce e armonia, natura e bellezza, tradizione e spiritualità, tutti nemici della bulimia materialista, che proprio in quegli anni si era impadronita anche della cultura(1).
Tutto questo nel silenzio complice di ognuno: dei vecchi, esautorati e delegittimati dai moti studenteschi dei vent’anni precedenti; dei giovani, narcotizzati dai mass media e peter-panizzati dalla scuola dell’obbligo.
La mia generazione, infatti, – quella nata negli anni ’70, che una mente benevola si sarebbe poi ben pensata di definire dei bamboccioni, giusto per unire la beffa al danno –, invece di opporsi alla progressista deforestazione del pensiero e dell’arte, si rifugiò al buio di un cinema, a sperare che Terminator tornasse in Italia a fare quello per cui era stato costruito.
Trascorreva i pomeriggi attorno a un tavolo, armata di dadi, carta e penna, a vivere vite immaginarie, in dungeon sicuramente più reali dei bar e delle discoteche in cui i sacerdoti del divertimento istituzionalizzato distribuivano l’oppio alle masse. Si rifugiava in letture definite escapiste; nei fumetti e nei videogames, occupazioni incolte e puerili, condannate dai censori di ogni ordine e grado (che, non ingannatevi, sono rimasti gli stessi, anche se fanno finta di aver cambiato opinione).
Incapace di riconoscere sé stessa, ciondolava sui pavimenti di aule universitarie sovraffollate, ad ascoltare, incantata, la musica del pifferaio di Hamelin, tornato a prendersi quello che i succitati vincitori gli avevano promesso per aver liberato l’Occidente dai topi. Non potendolo pagare, perché i soldi li avevano spesi tutti nel decennio precedente, gli ex-rivoluzionari al potere gli avevano offerto i loro figli, coerentemente con loro stessi(2).
Si salvarono solo quelli di noi che avevano avuto la fortuna (o l’intuito) di tenere sempre il walkman a palla.
Gli altri seguirono il pifferaio, e precipitarono nel baratro. Tuttavia, come vi avevo anticipato, la storia aveva in serbo altri piani.
Distratti dai loro disegni di conquista, i custodi della cultura non si erano resi conto che la loro venerata scienza (idolatrata con atteggiamento scientista, più che scientifico), come profetizzato da poche menti lucide, stava per renderli obsoleti, segnando, con la rivoluzione digitale, l’inizio della fine dell’utopia positivista che, nel bene e, soprattutto, nel male, aveva guidato la storia del “secolo breve”.
Una bizzarra eterogenesi dei fini, mi verrebbe da dire, mutuando una definizione molto di moda presso la stampa colta dei giorni nostri. Infatti, mai si sarebbero aspettati che la loro amata scienza, sicaria della religione e assassina della fantasia, avrebbe alla fine mostrato il Re in tutta la sua senile nudità: una visione che per bruttezza avrebbe fatto sfigurare pure il ritratto di Mr. Gray.
Nudi e confusi, il Re e la sua corte, furono costretti a imparare a nuotare, per poter stare ancora un poco a galla, mentre il vortice li trascinava a fondo. Incapaci di riprendersi dall’inaspettato technoshock, concentrarono la loro furia disboscatrice contro i più giovani, colpevoli di avergli rubato la scena, e, peggio ancora, di aver trovato un modo di sottrarsi alla loro influenza (cambiando la serratura della porta di casa).
Li ostracizzarono dalla vita pubblica, delegittimandoli intellettualmente e usando l’anagrafe contro di loro inversamente a come l’avevano usata contro quelli che li avevano preceduti. Usarono le loro scuole e università per arginare la loro creatività, i giornali e la televisione per smascherare la loro ignoranza, le statistiche ISTAT per umiliarli, e, così facendo, emarginarli dai salotti televisivi imbottiti in cui si erano sempre sentiti al sicuro.
Sicché, oggi, stiamo assistendo all’ultimo atto di forza di questi guerriglieri stanchi e disillusi, dei quali nessuno vuol più leggere i libri, ascoltare le prediche musicali e le paternali cinematografiche.
Incapaci di comprendere che sono state proprio le loro sortite avanguardistiche a offrire il fianco scoperto al nemico, e così facendo a spingere l’esercito a un passo dalla rotta, si apprestano all’ultima mossa disperata ossia assoldare nuovamente, e per l’ultima volta, il pifferaio magico, per far sì che coi topi si porti via pure i nostri figli, e con essi il futuro della nostra plurimillenaria civiltà.
Questa volta però non ce staremo a guardare.
I tempi sono ormai maturi per unirci e formare una forte retroguardia che possa proteggere la ritirata strategica degli ultimi guardiani della nostra cultura, evitando così la rotta, e il trionfo del Nulla, oggi più forte che mai.
Una retroguardia di artisti e intellettuali, romanzieri e musicisti, cineasti e teatranti, appassionati lettori, ascoltatori trasversali, cinefili e giocatori digitali, che credano che il passato non sia la somma degli errori da cui dobbiamo imparare chissà cosa, ma una miniera inesauribile di idee da rielaborare coi mezzi e nei linguaggi più consoni alla loro rappresentazione contemporanea, soldati che preferiscano costruire a decostruire, l’armonia alla disarmonia, l’eclettismo alla specializzazione, dal momento che l’arte, in tutte le sue forme, non è inquadrabile in generi o sezionabile scientificamente, ma è interprete universale (ma non universalista) del difficile cammino dell’uomo su questo pianeta.
Note
1) La parte “buona” della critica tedesca non rese la vita facile all’ autore de La Storia Infinita, accusato di mancanza di realismo, di stimolare l’escapismo e rappresentare posizioni reazionarie. Indicative sono le parole di Ende per spiegare una volta per tutte il senso del suo romanzo più famoso: «È infatti la storia di un giovane che in questa notte di crisi, una crisi esistenziale, perde il suo mondo interiore, quindi il suo mondo mitico […], e deve saltare dentro questo Nulla, allo stesso modo in cui dobbiamo farlo anche noi europei. Siamo riusciti a perdere tutti i valori e ora dobbiamo saltare dentro, e solo se abbiamo il coraggio di saltarci dentro, in questo nulla, possiamo risvegliare le forze creative più personali e interne e costruire una nuova Fantàsia, cioè un nuovo mondo di valori». Non oso immaginare l’entità dello shit-storm che l’avrebbe investito, se all’epoca fossero esistiti twitter e facebook… Un discorso simile lo si potrebbe fare anche per J.R.R.Tolkien. A riguardo, oltre all’insuperabile capitolo a lui dedicato in E. Zolla, Uscite dal mondo, Adelphi, 1992, invito alla lettura di H.Carpenter, Gli Inklings – Tolkien, Lewis, Williams & Co., Jaca Book, 1985.
2) Georg Büchner (1813-1837) nel suo attualissimo dramma La Morte di Danton scrive che «La rivoluzione è come Saturno: divora i propri figli». Nel nostro caso i figli, per non farsi divorare, hanno pensato di darle in pasto i nipoti.