The OA è la serie della quale avremmo fatto volentieri a meno: Netflix tenta di stupire ma fallisce producendo un show di una bruttezza commovente.

Parliamoci chiaro: The OA è la classica serie che abitualmente abbandono alla prima puntata, ossia non appena annuso l’odore di un pacco incredibile. Ma si sa, esistono i doveri coniugali, e sono stato costretto a pupparmela tutta uscendone assolutamente confuso e molto, molto infelice. Tanto da meditare per un paio di giorni di chiedere il divorzio.

Non fatevi ingannare, The OA è uno show che va in crescendo: dopo il primo episodio avrei voluto buttarmi dal balcone, al secondo mi sarei dato fuoco, al terzo ho meditato di darmi fuoco per poi buttarmi dal balcone. E così via sino all’ultimo, quando, sui titoli di coda, mi è sfuggita una lacrima. E dire che non piangevo da anni.

Insomma, un qualcosa di positivo questa serie lo fa: provoca un gran bel sollievo quando finisce. Ma non credo fosse questo l’intento di Netflix e dei suoi creatori Brit Marling (che interpreta l’insopportabile protagonista Prairie) e Zal Batmanglij.

Un po’ Stranger Things, un po’ Sense8, un po’ Lost, un po’ Black Mirror, ma soprattutto una minchiata pazzesca, The OA è sicuramente una delle peggiori produzioni targate Netflix che nel tentativo di proporre un qualcosa di difficilmente classificabile ha sfornato una frittata del tutto indigesta.

Ed è questo il punto sul quale battono i fan ed i critici che hanno accolto positivamente la serie: The OA è qualcosa di mai visto, un mix di generi, un’esperienza che lo spettatore deve decifrare.

Palle. La serie in effetti le prova tutte per risultare originale, anche nel formato: titoli di testa a metà puntata, durata degli episodi sempre differenti (dai settanta minuti della prima, ai trenta dell’ultima) etc… ma il problema fondamentale è un altro: una trama che nemmeno i fratelli Wachowski dopo una lobotomia ed una sceneggiatura da ergastolo.

La storia ruota attorno a Prairie (Brit Marling), una ragazza che dopo essere misteriosamente scomparsa per sette anni ritorna a casa in stato confusionale, senza saper dare spiegazioni su dove sia stata. Dimenticavo, Prairie era cieca ed ha riacquistato inspiegabilmente la vista, farnetica di chiamarsi OA ed ha una serie di strane cicatrici sulla schiena. Dimenticavo, Prairie aveva perso la vista da bambina, dopo un incidente in seguito al quale aveva avuto un’esperienza di pre-morte…

Lo spettatore capisce subito che però la povera Praire sa “cose”. Qualcosa che noi , poveri cristi, non possiamo neanche immaginare. Ma per poter raccontare queste “cose” ha bisogno di cinque volontari che la stiano ad ascoltare. Riunisce quindi un gruppo di persone, per lo più adolescenti, ed inizia a raccontare loro ciò che le è successo.

Attraverso una serie di flashback scopriamo che Prairie era stata circuita da un medico/scienziato che rapisce persone che hanno avuto esperienze di pre-morte, per studiarle come topi da laboratorio. Ed è qui che comincia il vero divertimento: passaggi incomprensibili, fantascienza, new age, angeli, uno spirito guida che sembra la zingara di Luna Park (quella della Luna nera) in un polpettone inimmaginabile e difficilmente descrivibile a chi abbia avuto l’enorme fortuna di non vederlo.

A questo punto i buchi di sceneggiatura, gli elementi che non tornano e le soluzioni assolutamente non credibili sono talmente tanti che potrei tenervi qui tutta la notte. Ma immagino abbiate da fare, magari guardarvi una serie. Possibilmente non The OA. Sennò il mio sacrificio sarà stato del tutto vano.