On writing: autobiografia, saggio, diario, confessione. Avvincente come un romanzo, racconta con disarmante naturalezza cosa significhi essere uno scrittore. Senza troppe menate intellettuali.
Titolo: On writing
Autore: Stephen King
Editore: Sperling e Kupfer
PP: 320
Prezzo: 16,99
Non capita spesso di leggere un libro sulla scrittura che contenga qualcosa di furbo. Sarà che la maggior parte di coloro che hanno la pretesa di scrivere sullo scrivere non sono solitamente veri scrittori, bensì critici letterari, professori frustrati, ciarlatani e saltimbanco. Certo, capita di tanto in tanto di imbattersi in qualcosa di interessante, ma si tratta di merce rara quanto un pinguino ai Caraibi in un pomeriggio di agosto.
C’è da farsi venire il mal di testa solo a pensare al numero di presunti manuali e compendi sulla scrittura creativa che ogni anno si ammucchiano sugli scaffali delle librerie. Opere troppo spesso scritte dai personaggi di cui sopra, che dall’alto di una presunta conoscenza della materia propinano consigli quando non veri e propri dogmi, opinioni ed ammonimenti quanto meno discutibili.
Quello che accade con “On writing” è qualcosa di totalmente diverso. Primo perché il libro è tutto fuorché un saggio canonico. Secondo perché a scriverlo è stato sua maestà Stephen King. L’uomo best-seller per eccellenza. Mister 400 milioni di copie. Il romanziere che forse più di chiunque altro ha sdoganato la letteratura di genere dando vita a storie e personaggi entrati prepotentemente nell’immaginario collettivo.
Quanto si legge nella prefazione è sufficiente per avvicinare anche il lettore più scettico:
“Questo libro è breve perché la maggior parte dei libri sulla scrittura sono pieni di scemenze. I romanzieri, sottoscritto compreso, non capiscono molto di quel che fanno, non sanno perché funziona quando va bene, non sanno perché non funziona quando va male. Ho pensato che più corto fosse stato il libro, meno sarebbero state le scemenze”.
E via, una partenza che migliore non si potrebbe immaginare. Con buona pace di tutti coloro che si aspettavano l’ennesimo autore pronto ad elencare una serie di noiose regole da seguire per scrivere il romanzo perfetto. A King però questa premessa, benché cristallina, sembra non bastare. Così rincara la dose :
“Non volevo scrivere un libro (…) che mi lasciasse la sensazione di avere fatto la figura di un pallone gonfio di letteratura e di un coglione planetario. Di libri di quel tipo – e scrittori di quel tipo – ce ne sono già a iosa, grazie”.
A questo punto, oltre all’innamoramento istantaneo per quest’uomo, sorge spontanea una domanda: quali sono i motivi che hanno spinto il più celebre story-teller del 900′ a parlaci di scrittura?
King fuga ogni dubbio con un’altra uscita da applausi. Constatando (senza mai affermarlo esplicitamente) come spesso la critica più ottusa consideri i suoi romanzi letteratura di serie B spiega:
“Nessuno chiede mai del linguaggio. Lo chiedono ai Delillo e agli Updike (…), ma non lo chiedono agli autori popolari. Eppure anche noi proletari ci prendiamo a cuore il linguaggio, nei nostri modesti limiti, e ci preoccupiamo con passione dell’arte e delle tecniche con cui raccontare storie su carta”.
Il testo si divide in quattro parti principali. Ognuna delle quali spiega qualcosa di estremamente interessante sul mestiere dello scrittore. La prima “Curriculum vitae” racconta di quando King non era ancora il Re. Dall’infanzia ai primi goffi tentativi letterari, dai lavori spesso massacranti per mantenersi al college al matrimonio, sino all’inizio di un sudatissimo e stupefacente successo. I retroscena della carriera del “re del brivido” sono senz’altro succosi ed i suoi lettori più fedeli non potranno non apprezzare questa parte biografica indispensabile per comprendere meglio la genesi di tanti capolavori.
“La cassetta degli attrezzi” (titolo da 10 e lode) è il capitolo più squisitamente tecnico in cui l’autore disquisisce come in una lunga chiacchierata circa l’utilizzo di avverbi, aggettivi e forme verbali. Di grammatica e stili narrativi, con tanto di esempi tratti da diversi scrittori contemporanei. E, per l’appunto, del linguaggio. A tal proposito voglio riportare un passaggio illuminante:
“Il linguaggio non deve indossare sempre giacca e cravatta. Il fine della fiction non è la correttezza grammaticale ma mettere il lettore a proprio agio e poi raccontargli una storia…fargli dimenticare, se è possibile, che è lui o lei che sta leggendo la storia”.
“Sullo scrivere” analizza i vari processi che caratterizzano la vita di un romanzo. Dalla fase creativa sino alla revisione finale. E passa in rassegna una serie di aspetti fondamentali per chiunque abbia come obbiettivo quello di diventare scrittore. Costanza, abnegazione, talento ( o sì, serve soprattutto questo!) sono tra gli ingredienti principali che il mago King inserisce nella pozione.
“Sul vivere” è un altro capitolo biografico in cui l’autore racconta principalmente del terribile incidente in cui è stato coinvolto nel 1999 (un minivan lo investì durante la consueta passeggiata quotidiana, costringendolo ad una serie di delicati interventi e ad una lunghissima riabilitazione), periodo in cui stava lavorando a “On writing”.
L’opera si conclude con un sorprendente elenco di romanzi che King consigliava all’epoca della pubblicazione, indicandoli come favoriti tra quelli da lui letti negli ultimi anni. E’ questa un’ ultima occasione per ribadire la sua Regola principe: “Scrivere molto e leggere molto”.
“On writing” è in definitiva un libro di Stephen King su Stephen King e sulla cosa che più ama fare (e che gli riesce maledettamente bene), ossia scrivere. King si rivela ancora una volta un fuoriclasse tirando fuori dal cilindro un libro fresco, a suo modo innovativo e sicuramente molto coraggioso.
Ciò che più stupisce è l’onestà intellettuale e la grande umiltà con la quale spiega, in definitiva, la sua personale visione: la scrittura narrativa come una sorta di processo telepatico che si instaura tra autore e lettore. La totale assenza di regole, scalette e paletti che potrebbero in qualche modo ostacolare la sua debordante fantasia.
Al termine della lettura si ha l’impressione di avere passato alcune piacevoli ore con un vecchio amico che non vedevamo da tempo e che aveva un sacco di cose interessanti da raccontarci. Su di lui, sulla sua vita e sul mestiere della sua vita. Senza la fastidiosa pretesa che le sue idee siano le più giuste.
King ci offre una serie di stimolanti spunti di riflessione costruendo un ponte ideale tra quello che la scrittura è a livello tecnico e ciò in cui si trasforma quando la si rapportata alla vita quotidiana. Quando lo scrivere diventa una sfida, un’ ambizione, un sogno. In questo senso ritengo doveroso chiudere con un pensiero semplice ed allo stesso tempo molto profondo dello scrittore del Maine:
“Avere qualcuno che crede in te fa la differenza. Non c’è bisogno che si lancino in orazioni. Di solito credere è già sufficiente”.
Chiunque si sia mai avvicinato alla scrittura sa bene quanto questa affermazione sia una piccola grande verità.