Horror e pregiudizio. Il sunto dei pregiudizi di genere si scaglia fiero sul genere horror, ormai da generazioni. Elisa Gianola prova a spiegarci perché.

Il sunto dei pregiudizi di genere si scaglia fiero sul genere horror, ormai da generazioni. Scrivere libri o dirigere film di paura (come diceva mia nonna) è allo stesso livello del raccontare barzellette su Totti. Uno sforzo senza valore artistico, creativo, tecnico o intellettuale. Di recente l’horror è stato perfino usato come offesa: ma tu scrivi libri horror, hanno detto.

Il tono dispregiativo non lascia spazio ad interpretazioni diverse. E fa sorridere amaramente, perché ci rammenta come le etichette di genere siano spesso usate per offendere una categoria che non ci rientra. Ricordiamo la parola gay, usata per prendere in giro gli eterosessuali, o cinese per accusare qualcuno di aver creato cose di poco valore.

L’horror, in campo cinematografico e letterario, ha sempre avuto terreno arido attorno a sé. È un genere forte, pesante, intenso. Ed estremamente delicato. Se uno scrittore ha intenzione di suscitare nel pubblico una sensazione di paura o angoscia, dovrà mettere in campo tecniche e skill di gran lunga superiori ad altri colleghi di genere. Perché, malgrado l’horror venga sempre declassato e denigrato è, senza alcun dubbio, il genere più difficile da comporre e il più facile da sbagliare.

Prendiamo la commedia romantica. Vi sembra un genere difficile? Certo, in ogni campo esistono abilità differenti (originalità, doti tecniche, scelta degli attori, ecc), tuttavia devi essere una scimmia per non riuscire a scrivere almeno una bozza di trama coccolosa e pucciosa. Perché? Perché il pubblico vuole sentirsi bene, perché per qualsiasi essere umano è più facile accettare una sensazione piacevole che spiacevole. Il compito dello scrittore rosa non è difficile, qualsiasi target commerciale accetta di buon grado una storia romantica, tendente al bello.

L’horror, se composto correttamente, tocca corde diverse. Esistono molti tipi di cinema e letteratura horror ma, ognuno di questi, per risultare un prodotto di successo, deve scontrarsi non solo con l’estrema difficoltà del portare a galla sensazioni che il lettore/spettatore di default non vuole provare, ma anche farsi strada tra una folla di critici che puntano il dito e lo declassano a porcheria. Per questo motivo l’orrore non è mai stato particolarmente mainstream, malgrado tutti i grandi padri che lo hanno svezzato.

Registi che hanno avuto modo di sperimentare tecniche e creare nuovi strumenti cinematografici; scrittori che hanno istituito nuovi filoni di genere, nuovi stili di scrittura, nuovi immaginari. In italia il cinema horror ha avuto molti impedimenti di evoluzione. Siamo passati dal tentativo di imitare gli americani alla consapevolezza di aver creato film di maggior qualità e spesso perfino con incassi più alti.

E malgrado questo, se ti piace o fai horror in Italia, resti comunque un povero stronzo e ti devi vergognare. E tuttavia lui è sempre al suo posto, a farsi insultare dai critici e a continuare a fare il lavoro sporco. Quel lavoro che, a mio parere, è utile sia al creatore che allo spettatore/lettore: un sistema pratico per esorcizzare il male, per dar forma ai mostri, per sfogare le emozioni. È un po’ quello che succede nei film di guerra: l’esorcismo del passato, la dimostrazione dello sbaglio, la denuncia. La critica alla violenza e il suo rapporto col mondo minorile è, a mio parere, fuffa. Solo un fallimento di insegnamento da parte dei genitori può generare una pessima visione da parte del figlio.

Riversare la colpa nel cinema o nella letteratura è un’ammissione di colpevolezza. Quando mia sorella era piccola, e guardavamo ER, ogni tanto si impressionava per le scene col sangue. Dopo aver litigato un paio di volte con mia mamma mi impuntai, presi la sorella in braccio e le feci vedere i making of di qualche film horror. Navigai su siti di effetti speciali, interviste ai più grandi creatori di pupazzi e via dicendo. Le feci capire che il sangue che vedeva in ER era finto, e che qualcuno di molto bravo lo aveva fatto così bene da farlo sembrare vero.

Ovviamente non le feci vedere i film horror in questione, non sono pazza, tuttavia la portai a un livello di consapevolezza diversa. Così, da grande, sarebbe stata in grado di guardarsi un film horror gustandoselo e notando tutto il lavoro che c’è dietro. Non esiste violenza o emulazione di violenza se si fa vedere ai propri ragazzi le grasse risate che si son fatti i tecnici durante la lavorazione del film. Crescendo, sarà il figlio a decidere razionalmente se il genere fa per lui o meno. Rendiamoci dunque conto che l’horror è una delle tante forme d’arte.

Il calcolo dei tempi, il montaggio, le luci, i colpi di scena, gli effetti speciali, lo stile di scrittura: l’intero ingranaggio deve funzionare alla perfezione, deve essere impeccabile e ben oliato. Non c’è una via di mezzo, non c’è una scappatoia. O funziona o si inceppa. O vive, o muore.