Osservatore oscuro, la recensione (con qualche SPOILER) di Linda Talato del romanzo di Barbara Baraldi per Sugarpulp MAGAZINE.

Titolo: Osservatore oscuro
Autore: Barbara Baraldi
Editore: Giunti Editore
PP: 528

Non credere che le voci nella tua testa siano reali.

Anche questa volta Barbara Baraldi è riuscita a lasciarmi senza fiato, nonostante – e mi fa male dirlo ma devo, il compito del recensore è un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare – nella prima metà del secondo volume su Aurora Scalviati non fossi del tutto convinta.

Via il dente, via il dolore! Prima mi farò del male dicendovi ciò che non mi ha convinta, poi mi trastullerò nella mia gioia effimera di lettore che chiude l’ultima pagina con un senso di estatica beatitudine (in realtà l’ultima pagina è in senso puramente metaforico, perché ormai Greta Thumberg ha contagiato anche me e compro solo ebook).

PRIMA PARTE

Osservatore Oscuro è il secondo volume della trilogia su Aurora Scalviati, dopo Aurora nel Buio e prima de L’Ultima Notte di Aurora, terzo e ultimo capitolo della saga sull’affascinante detective della polizia italiana, ideata dalla fantasia di Barbara Baraldi e pubblicata da Giunti.

Il mio giudizio sul primo capitolo, come avrete avuto modo di leggere, era assolutamente entusiasta. Ed è per questo che, una volta iniziato Osservatore Oscuro, mi sono sentita “smontare” dentro, passatemi il termine, e mi sono ritrovata a pensare “ma che è successo a Barbara?”

È successo che la mia beniamina (lei e Alex Connor sono, a mio parere, un faro di speranza per la parità di genere e l’emancipazione femminile nel mondo letterario) ha dovuto confrontarsi con quella che chi ha lavorato in cronaca chiama “ripresa”. Sì, lo so, non siamo nella cronaca e il paragone può sembrare un po’ azzardato, ma vi assicuro che il concetto è più o meno lo stesso.

La cosiddetta ripresa, in un articolo di cronaca, avviene in quelle quattro/cinque righe iniziali (a volte anche di più o di meno, dipende dalla notizia) in cui il cronista riassume le “puntate precedentiʺ, ovvero ciò che è successo dal momento in cui un fatto è iniziato fino al momento in cui si scrive. Ciò riguarda, in buona sostanza, le notizie legate a eventi che si evolvono nel tempo – come può essere un’indagine, una diatriba politica, un fatto di attualità o quello che volete voi – e che necessitano di essere spiegati a chi si fosse eventualmente perso le “puntate precedenti”.

Che c’azzecca tutto ciò con i romanzi di Barbara? C’azzecca che la nostra si è dovuta confrontare con quello che è il “dilemma” dell’autore che scrive cicli, saghe e romanzi a puntate (ho detto saghe, non sagre: veneti, non distraetevi), ed è, appunto, quello di rammentare, seppur brevemente, ciò che è accaduto nelle “puntate precedenti”, per il semplice motivo che chi ti legge oggi, non è detto che ti abbia letto anche ieri. (E che ti legga domani. Ma Barbara non ha questo problema: è perfettamente in grado di “fidelizzare” i suoi lettori).

Qui occorre fare un’altra precisazione “tecnica”, ed è quella che riguarda la distinzione tra plot (trama) verticale e orizzontale. La “trama orizzontale” è quel tipo di narrazione seriale che si estende per diversi episodi – un esempio su tutti: Games of Thrones – mentre quella verticale, al contrario, prevede una narrazione episodica: la vicenda inizia e termina con la puntata in questione – un esempio su tutti: Don Camillo e l’onorevole Peppone. Oppure La Signora in Giallo.

Detto ciò, i romanzi su Aurora Scalviati sono autoconclusivi – ogni romanzo vede la nostra eroina impegnata in un’indagine diversa – quindi la trama sembrerebbe, a una prima occhiata, verticale. Tuttavia, non solo i personaggi e il contesto rimangono gli stessi (come pure in Don Camillo, se vogliamo), ma la Baraldi fa di più, perché fa evolvere la sua protagonista nel corso delle “puntate”, sebbene in ognuna ella affronti enigmi diversi.

Tutto questo pippone per dirvi che la “ripresa” da un lato è necessaria per spiegare ciò che è avvenuto nel passato di Aurora, i suoi problemi legati a quel frammento di proiettile che le è rimasto conficcato in testa, il suo arrivo a Sparvara – paese della bassa emiliana – e la sua amicizia affettuosa con Bruno Colasanti, dall’altro, però, tende all’autore un pericoloso tranello dovuto a un’eccessiva quota di narrato e di incursioni esterne del narratore, che interviene spesso a spiegare perché i personaggi fanno e dicono una cosa, piuttosto che un’altra, rischiando di rallentare eccessivamente il ritmo della narrazione, di rompere l’”immersione” e, in definitiva, di annoiare un po’ il lettore.

Naturalmente, tutto ciò nella mia sensazione e opinione personale. Qualcun altro potrebbe tranquillamente dire che non è così, che sto vaneggiando e, come lo psichiatra di Aurora:

“Linda, non credere che le voci nella tua testa siano reali.”

Bene, la parte negativa è… Finitaaaaaaaaaaa!!!!

SECONDA PARTE

Ora mi sento meglio, e possiamo passare alle cose interessanti, ovvero tutta la seconda metà della storia, in cui Barbara si rivelerà il solito genio dell’intrigo e dei colpi di scena inaspettati, proprio come ci aveva abituati in Aurora nel Buio.

PERSONAGGI

La Baraldi fa un lavoro, a mio parere, davvero notevole sui suoi personaggi, ed è un crescendo, man mano che la narrazione procede.

Aurora è una protagonista sempre meno piatta e prevedibile, ma che, anzi, assume una connotazione via via più “tridimensionale” fino ad arrivare all’apice, sul finale, nel suo incontro con Curzi, enigmatico personaggio che avevamo conosciuto nel primo capitolo. Il loro dialogo è quasi un monologo interiore, in cui davvero l’autrice dà il meglio di sé.

«Eppure il cambiamento è una legge della vita. Reinventarsi continuamente alimenta il potenziale infinito della nostra mente, moltiplicando le nostre capacità. Ma tutto questo ha un prezzo: il dolore».

E ancora:

«Mentre gli altri riempiono il loro mondo di certezze, anestetizzandosi per tirare avanti, tu sei piena di dubbi. Mentre gli altri spendono energie per non affrontare la realtà, il tuo dolore ti ha resa consapevole della fragilità della condizione umana».

Curzi parla di Aurora, ma anche un po’ di tutti noi. Come non sentirsi chiamati in causa dalle sue parole?

Proprio lui, che era il “cattivo” nel primo capitolo della trilogia, diventa quasi uno shapeshifter, il mutaforma di Vogler nel suo Il viaggio dell’eroe.

I cattivi, dunque, che non sono mai cattivi del tutto, come dimostra l’antagonista Valraven, a cui Aurora darà la caccia per tutto il romanzo, il mietitore che tenterà di uccidere le persone a lei più care.

Proprio quel Valraven – di cui, in realtà, non conosceremo mai la vera identità – mostra la sua parte più intima e sensibile, quando racconta di come la cosca mafiosa legata a il “Santo”, Fernando Santini, abbia sterminato brutalmente la sua famiglia.

Tra i personaggi, una nota a parte credo meriti la figura di Bruno Colasanti, partner di Aurora nelle indagini già dal primo capitolo. All’inizio di Osservatore Oscuro, il nostro si ritroverà coinvolto in un giro losco di corse fantasma, gare clandestine in automobile, e tutto ciò verrà fatto passare come un modo per esorcizzare il dolore e lo stato di confusione mentale che il personaggio sta vivendo a causa dei suoi sentimenti verso la protagonista.

Qui il lettore, o almeno io, alzerà un po’ gli occhi al cielo pensando: “eccheppalle, doveva proprio fargli fare la figura del duro alla Fast and Furious in un modo così patetico?”

E invece di patetico, Colasanti, non ha proprio nulla, ho preso una cantonata io, perché leggendo fino alla fine, si scoprirà che è un duro davvero: il motivo che lo ha spinto a unirsi al giro di corse clandestine è proprio un motivo con “gli attributi”, passatemi il termine, di quelli da farsela sotto sul serio. Ovviamente non vi dirò qual è.

SCENE DI PASSIONE

Una menzione a parte credo meritino le scene erotiche e amorose che… non ci sono!

Grande tocco di classe, a mio modesto parere, della Baraldi, perché il lettore reduce da Aurora nel Buio – dove l’amore e il sesso c’erano stati, seppur in minima parte – per tutto il tempo si aspetterà che Bruno e Aurora coronino definitivamente il loro sentimento in una storia d’amore vera e propria, e invece… Nooo!!

Proseguiranno le loro strade vicini ma lontani allo stesso tempo, guardandosi sempre da una certa distanza, e la liaison sentimentale tra loro due è, almeno per il momento, rimandata.

Con questo l’autrice dimostra, insieme a Dan Brown, che il sesso e l’erotismo non sono indispensabili per agguantare l’interesse del lettore verso una storia, e che la mania puramente commerciale di “metterlo un po’ ovunque, perché il pubblico, alla fine, vuole quello” è solo una banale scusa di chi non sa fare lo storyteller per davvero.

Potrei dilungarmi ancora parlando di come la Baraldi gestisce dal punto di vista narrativo il passato di Aurora, di come faccia emergere prepotentemente dall’oblio la figura di suo padre, Francesco Scalviati, che da personaggio di puro sfondo diventa quasi una presenza inquietante e ricca di mistero, ma rischierei di dirvi troppo.

Pertanto chiudo con un passaggio sul finale che, per me, è un tocco da maestra:

«Esiste un meccanismo all’interno dei circuiti cerebrali di ogni creatura vivente, che individua i pericoli e gestisce le reazioni. Una sorta di osservatore oscuro che ha garantito la sopravvivenza della specie per centinaia di milioni di anni, fin da molto prima della comparsa dell’uomo. So che quel controllore, adesso, ti sta dicendo che non costituisco alcun pericolo per te.»

Sipario. Applausi. Immensa.