Paradise Sky racconta l’epopea di Nat Love, pistolero di colore realmente esistito che Joe Lansdale trasforma in un nuovo eroe moderno.

Paradise Sky di Joe Lansdale la recensione di Fabio ChiesaTitolo: Paradise Sky
Autore: Joe Lansdale
Editore: Einaudi
Pagine: 512
Prezzo: € 20,00 e-book € 9,99

La capacità di parlare di grandi temi con apparente leggerezza. È questo ciò che Joe Lansdale ha dimostrato di saper fare nei suoi “romanzi romanzi”, ossia le tante avventure, spesso ambientate nel vecchio West o durante la grande depressione, al di fuori della serie di Hap & Leonard.

Negli ultimi tempi lo scrittore texano ci ha regalato, in questo senso, molte gemme: Cielo di sabbia, Acqua buia, La Foresta ed ora questo Paradise Sky, una storia destinata a diventare presto un grande classico.

Come già nei titoli sopra citati Lansdale fonde ancora una volta alla perfezione avventura e romanzo di formazione richiamando da subito l’intramontabile Mark Twain, il narratore americano per antonomasia, del quale Joe può considerarsi a pieno diritto il più degno erede in circolazione.

Molti critici hanno paragonato questo suo ultimo lavoro all’opera di Cormac McCarthy, in particolare la Trilogia della frontiera. Niente di più sbagliato, almeno per chi scrive. La scrittura di McCarthy scorre come un fiume torbido e gelido, inesorabile nella sua discesa; la prosa di Lansdale è invece un vulcano in continua eruzione, fatta di esplosioni improvvise, lava, zampilli e vapore.

L’ambientazione western che accomuna i due scrittori sembra insufficiente per tracciare arditi paralleli: Lansdale non ha bisogno di essere accostato ad altri “grandi” contemporanei, come spesso la critica è solita fare; è ormai un grande lui stesso, e lo è da lungo tempo.

Se proporre una storia western sembrerebbe oggi cavalcare una moda, Joe è l’eccezione che invalida la regola. Lansdale scrive questo tipo di racconti dai tempi de Il carro magico (1980) e La morte ci sfida (1984) e la sua personale fusione del più classico dei generi con suggestioni pulp-noir non è certo debitrice di Django Unchained o The Hateful Eight, semmai il contrario, senza nulla voler togliere a Quentin Tarantino.

Paradise Sky rappresenta la definitiva evoluzione dello stile di un autore che ha da sempre fatto della contaminazione il suo marchio di fabbrica, e se proprio vogliamo tracciare un filo conduttore dobbiamo chiamare in causa grandi classici come Twain, appunto, John Steinbeck, William Faulkner, Erskine Caldwell o, spostandoci più avanti, il sempre troppo sottovalutato Jim Thompson. E, cinematograficamente parlando, il nostro Sergio Leone.

Se questi autori possono rappresentare un punto di partenza per inquadrare parte della produzione dello scrittore texano non dobbiamo dimenticare che tutti i riferimenti più tradizionali vengono da lui puntualmente smontati e frullati in un magma incandescente di generi, sottogeneri, atmosfere e suggestioni dal quale prende vita quello che egli stesso ha definito “stile Lansdale”.

E Paradise Sky si conferma come uno dei più alti esempi di questo stile. Lansdale ripercorre le gesta di Nat Love, cowboy di colore realmente esistito che ha lavorato con Buffalo Bill, incrociando sul suo cammino tante celebri leggende della Frontiera come Jesse James, Pat Garrett, Billy the Kid. Il tipico personaggio larger than life, un folk hero ideale per far rivivere il vecchio West in tutta la sua epicità.

Perché se il Texas è uno stato mentale, le sue origini vanno senza dubbio cercate nel Far West, tra cowboy, indiani, schiavi e messicani; in fumosi saloon e strade polverose; tra sparatorie, pallottole, imboscate ed esecuzioni.

Lansdale prende spunto dalla turbolenta esistenza di Love per raccontarci l’epopea di un giovane uomo in grado di trovare un lato positivo anche nelle peggiori esperienze, capace di imparare dai proprio errori e da quelli dei suoi simili. Un insegnamento che potrebbe sembrare banale ma del quale, invece, c’è oggi più che mai assoluto bisogno.