Point Break 2015 è il remake più tamarro ed insulso della storia del cinema. Le ottime sequenze “estreme” non bastano a salvare un filmaccio scritto coi piedi.

Il 2016 è appena iniziato e già possiamo decretare un vincitore: Point Break 2015 è il film più zarro ed inutile dell’anno.

Dimenticatevi il cult del 1991, dimenticatevi Kathryn Bigelow e la formidabile coppia di protagonisti composta dal compianto Patrick Swayze e dall’allora semisconosciuto Keanu Reeves: questo sedicente remake altro non è che una versione grossolana, dopata, idiota e involontariamente ridicola dell’originale.

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La trama è, grosso modo, la stessa: il novizio agente FBI Johnny Utah ( il “Bisteccone” Luke Bracey) si infiltra in una banda di rapinatori con lo scopo di inchiodarli, ma finisce con lo stringere una virile e pericolosa amicizia con il loro carismatico capo, Bodhi (Edgar Ramirez).

Una storia semplice, lineare, il cui successo, quindici anni fa, era stato decretato dalla regia vigorosa della Bigelow, nonché dall’irripetibile alchimia creatasi tra Swayze e Reeves: rapinatore-surfer-filosofo il primo, poliziotto-testa calda dall’animo naif il secondo.

Tolti questi due elementi rimane ben poco. Ed è proprio su quel poco che gli autori ed il nuovo regista Ericson Core (già direttore della fotografia del primo Fast & Furious) hanno deciso di intestardirsi disastrosamente.

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La formula adottata è quella del pompiamo-tutto-al-massimo. Bodhi, da bandito alternativo, si trasforma in una sorta di eco-guerriero filosofo che, insieme ai suoi compari, cerca l’illuminazione spirituale attraverso una serie di imprese mistico-atletico a sfondo anarchico.

La banda non persegue più il vil denaro (giammai!), ma conclude spesso le sue azioni distribuendo ai più poveri il bottino audacemente conquistato. Come se non bastasse, questa improbabile crew di atleti estremi è sponsorizzata da un decerebrato figlio di papà alle cui feste esclusive (rigorosamente su lussuosi yacht o in avveniristici villoni scavati nella roccia della montagna) suona niente di meno che Steve Aoki (!).

D’altro canto,neppure Johnny Utah è un agente qualunque: anche lui è un mito degli action sport, in questo caso di motocross estremo.

Il Bisteccone, povero lui, ha però ha subito un forte trauma: la morte di un caro amico durante una delle loro spericolate imprese. Per espiare la colpa di non averlo salvato Jonnhy, ovviamente, decide di entrare nel FBI per dare la caccia ai cattivi…

Grande spazio dunque agli sport più pericolosi. Se nell’originale avevamo robette tutto sommato blande come il surf ed il paracadutismo, qui dobbiamo aggiungere alla lista: il free climbing, il freeride snowboard, il wisbase ed il già citato motocross.

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Va detto che tutti i componenti della banda sono esperti di tutti questi sport e passano con nonchalance dalla scalata a mani nude alla tuta alare, dalla tavola da snowboard a quella da surf, senza alcuna apparente difficoltà.

Inoltre, per scaricare la tensione, si ritrovano nei banlieue di Parigi in una specie di fight club dove se le danno di santa ragione, tanto per aggiungere la lotta a mani nude alle loro innumerevoli specialità.

Ah, dimenticavo: tutti i banditi, compreso l’infiltrato Bisteccone, sono delle specie di fotomodelli super seri, gonfi di steroidi e pieni di tatoo e le donne che li circondano, ovviamente, fighe da copertina che neanche nelle “cene eleganti” di Arcore.

Appurato perciò che l’idea originale è stata sputtanata alla grande, la sceneggiatura è pressoché inesistente ed i personaggi stanno a metà tra la caricatura e la macchietta, passiamo alla parte più interessante della pellicola: vale a dire le sequenze d’azione.

E qui verrebbe davvero da impiccare chi ha partorito questo progetto; perché di scene notevoli ce ne sono parecchie e la regia, in questo senso, non ha affatto deluso.

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Basti pensare che per girare le sequenze più pericolose (il 70% del film) sono stati arruolati atleti di fama internazionale e stunt provenienti da tutto il mondo: un vero spreco.

Se solo lo script avesse avuto la metà del dinamismo della immagini questo Point Break sarebbe stato un buon film , invece più che un remake pare un documentario sugli sport estremi rovinato da una storia insulsa e noiosa, da protagonisti fuori ruolo (Bisteccone in primis) e da colpi di scena più telefonati di un fallo di Felipe Melo.

Il colpevole di tutto ciò è soprattutto lo sceneggiatore Kurt Wimmer che nel campo dei remake “vanta” già un pessimo precedente, ossia il Total Recall del 2012… A quanto pare riscrivere alla cazzo film anni ’90 è uno dei suoi hobby preferiti.

Grazie a lui il mitico Bodhi interpretato da Swayze, a suo modo uno dei personaggi più iconici del cinema d’azione, si è trasformato in una specie di Tyler Durden lobotomizzato, con buona pace del romantico criminale-surfer che avevamo tanto amato.

Quello che potrebbe essere il pubblico di riferimento di questo film, penso ad esempio agli appassionati della saga Fast & Furious, farebbe bene a pensarci due volte prima di andare al cinema: qui mancano le macchine, non c’è un Vin Diesel che possa salvare la situazione ed il “punto di rottura”, parola mia, lo si raggiunge facilmente dopo soli venti minuti…