Politica dei videogiochi e politica nei videogiochi. Battlefield 3, America’s Army e Glorious Mission a confronto.
È cosa oramai nota, e già da un po’ di anni: il videogioco ha definitivamente cessato di essere un prodotto culturale di nicchia.
Se dieci anni fa poteva ancora esserci chi lo considerava un genere diretto principalmente ad intrattenere (in maniera assai improduttiva, si pensava) bambini ed adolescenti, la crescita esponenziale del settore in termini di numeri e di utenza ha oramai costretto anche i più conservatori ad aprire gli occhi.
I numeri del settore
E se il mercato dei videogiochi nel 2015 ha superato fatturato di cinema e musica messi insieme (92 miliardi di dollari a livello internazionale secondo IHS Technology, contro i 62 miliardi del cinema e i “miseri” 18 dell’universo musicale), le statistiche italiane relative al 2015 ci dicono che la fascia d’età col maggior numero di videogiocatori è quella compresa tra i 35 e i 44 anni, seguita dalla fascia 44-60, e che donne e uomini alla consolle si dividono equamente, 50 e 50.
Forte di questi numeri, l’industria del videogioco ha iniziato a investire tempo e risorse in titoli che vanno molto al di là dell’intrattenimento puro, caratterizzandosi come veri e propri media capaci di veicolare informazioni, conoscenze e ideologie.
Non solo entertainment
Per citare un caso eclatante – e mi perdonerete se non ne entrerò nel dettaglio – nel giugno 2014 la Ubisoft Montpellier ha rilasciato Valiant Hearts: The Great War, videogioco d’avventura/rompicapo ambientato nella prima guerra mondiale.
Il gioco è stato rilasciato appositamente per il centenario dell’inizio del conflitto, con fini dichiaratamente educativi.
Insomma, l’idea che il videogioco sia un prodotto autoreferenziale, che offre qualche ora di svago al prezzo di un temporaneo isolamento dalla realtà è stata, fortunatamente, messa da parte.
E, data l’importanza economica del settore e le capacità che il videogioco in quanto medium ha di raggiungere un numero impressionante di persone, diventa interessante anche indagare quanto di politico vi sia nel videogioco, e quanto di non detto possa (e venga) essere veicolato da una normale partita.
Infatti il realismo, la cinematografia avanzata, la caratterizzazione dei personaggi (pensando soprattutto al genere sparatutto, RPG, MMORPG etc.) hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni, caratterizzando il videogioco con un fortissimo potenziale emotivo.
La partecipazione emotiva: buoni e cattivi
La divisione tra buoni e cattivi (noi, ovviamente, saremo i buoni per definizione, anche nei casi in cui giocheremo nei panni dei cattivi) è netta ed immediata: il buono è un personaggio etico, assai caratterizzato, mentre il cattivo… beh, il cattivo semplicemente è brutto (le volte in cui possiede un volto visibile) e si comporta da cattivo.
La partecipazione emotiva alla partita comporta sempre il fatto di sentirsi “dalla parte giusta” durante il gioco. Si tratta di un meccanismo psicologico, sottile ma ben noto, che ha delle notevoli conseguenze quando si tratta di videogiochi a carattere storico o ambientati nel mondo attuale.
Chi vorrebbe stabilire una partecipazione emotiva con i nazisti?
Il caso di Battlefield 3 e di Glorious Mission On Line
Per declinare questo concetto, vado adesso a presentare due coordinate videoludiche. La prima è Battlefield 3, distribuito nel 2011 dai giganti del settore SEGA ed Electronic Arts. Undicesimo capitolo di una saga fortunatissima, vincitore di più di 40 premi nel settore.
La seconda coordinata, viceversa, è pressoché sconosciuta ai più: si tratta di Glorious Mission On Line, sviluppato nel 2013 dalla cinese Giant Interactive Group e sponsorizzato dall’Esercito Popolare Cinese.
Iniziamo dal principio. A fine 2011, a pochi giorni dall’uscita ufficiale di Battlefield 3, la Repubblica dell’Iran presentò una protesta formale all’ONU e a DICE (la casa produttrice). Il motivo? Una delle missioni del nuovo videogioco vedeva il giocatore impersonare un marine americano all’assalto di una Teheran semidistrutta dai bombardamenti USA (i quali, nella trama del gioco, spingono l’Iran a foraggiare una serie di attentati terroristici in varie città europee, attentati che il nostro giocatore dovrà ovviamente sventare. Nel calderone ci sarebbe anche la Russia, ma non gettiamo troppa carne al fuoco).
Il sostanziale disinteresse internazionale che accolse la sua protesta, spinse il governo iraniano a spostare il conflitto sullo stesso campo: quello virtuale.
Repubblica.it riportò con grande enfasi: “Attack on Tel-Aviv contro Battlefield 3. L’Iran risponderà con un nuovo videogioco, ambientato in Israele, a quello americano […] Ad annunciarlo è Behrooz Minaei, dirigente della Fondazione iraniana per i giochi elettronici”.
Che dire, se proprio devi sganciare una bomba, sempre meglio una bomba videoludica.
Ancora più interessante è Glorious Mission On Line, gioco free-to-play riferito ad una crisi geopolitica non fittizia (per quanto realistica) bensì reale e ancora oggi decisamente attuale.
Il videogioco (che ricordiamo è sponsorizzato dall’esercito cinese, addirittura distribuito per festeggiarne l’86esimo anniversario) vede i giocatori vestire i panni di un comandante cinese incaricato della difesa di un minuscolo ma assai strategico arcipelago di isole che Cina e Giappone si contendono oramai da quasi un secolo, che la Cina chiama Diaoyu e il Giappone Senkaku.
I giocatori devono pattugliare le acque territoriali delle Diaoyu contro le incursioni giapponesi, possono far decollare aerei da guerra dalla portaerei Liaoning (la prima portaerei cinese, entrata in servizio nel 2012) e devono rispondere con ogni mezzo ai tentativi di invasione.
Glorious Mission On Line, spiegava uno degli sviluppatori, oltre a essere utilizzato per l’addestramento delle truppe, ha come scopo quello di stimolare i giovani all’arruolamento.
Il target sono gli studenti universitari, che in Cina sono anche i maggiori consumatori di videogiochi e coloro i quali passano il maggior numero di ore su internet. Il fatto che le finalità ufficiali del gioco siano la propaganda per l’arruolamento e l’addestramento delle truppe rende questo gioco un esempio perfetto del potenziale mediatico e persuasivo di cui dispone il genere videoludico.
A onor di cronaca, per quanto l’idea della Cina possa sembrare inquietante, c’è chi li ha battuti ampiamente sul tempo.
Wargames
Il Pentagono infatti iniziò già dal 1999, servendosi di vari esperti di Hollywood, a produrre simulatori di guerra elettronici per l’addestramento delle proprie truppe. Questa sperimentazione ha notevolmente accelerato nel 2008, quando l’esercito USA ha investito oltre 50 milioni nello sviluppo di un simulatore avveniristico, dotato di tutti i gadget, dai joystick ai caschi integrali per la realtà virtuale.
Del resto, l’esercito americano ha aperto nel 2004 in North Carolina un vero e proprio istituto che si occupa esclusivamente di sviluppare videogiochi, mentre nel 2007 un’apposita sezione è stata aperta negli uffici del Comando Militare per l’Addestramento.
E se questi sviluppi possono sembrare, tutto sommato, avere poca attinenza col videogioco vero e proprio, beh, non è così.
Infatti il corrispettivo americano di Glorious Mission On Line esiste dal 2002 e si chiama America’s Army.
Prodotto dall’esercito USA con dichiarate finalità di propaganda per l’arruolamento, il gioco si rivolge ai giovani dai 13 ai 21 anni ed ha collezionato ben quattro nuove edizioni, con oltre 2200 server esistenti e 13 milioni di giocatori.
Durante un’audizione al Congresso nel 2009, America’s Army è stato descritto come – cito – “più efficace di qualunque altro metodo di contatto per il reclutamento di nuovi soldati”, di gran lunga più efficace di tutti gli altri canali pubblicitari messi insieme. Parola di generale.
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