Poor Things, la recensione di Silvia Gorgi del film di Yorgos Lanthimos vincitore del Leone d’Oro all’80a edizione della Mostra del Cinema Di Venezia.

Fiaba, romanzo gotico, con punte di steampunk, un mondo immaginifico, metafora del reale, di un tempo, quello odierno, in cui la libertà d’essere di una donna è al centro dell’attenzione.

Presentata nei primi giorni, in concorso, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia, la nuova opera di Yorgos Lanthimos, che racchiude tutto il suo universo narrativo, osa, strabilia, diverte.

Tutto il pubblico e gli addetti ai lavori a Venezia 80, che hanno avuto qui la possibilità di vederlo in anteprima – uscirà il 25 gennaio 2024 – se ne sono resi conto subito, poiché la pellicola si collocava una spanna sopra tutto quello che s’era visto fino a quei giorni; poi il concorso ha riservato qualche altra bella sorpresa, nei giorni a venire, ma va detto che il Leone d’oro, che alla fine è stato assegnato alla pellicola, è strameritato, anche per questo percorso cinematografico da parte del regista greco, che dopo La Favorita aveva vinto a Venezia la Coppa Volpi femminile e il Gran Premio della Giuria – regala a chi ama il cinema una serie di personaggi che resteranno nel cuore degli spettatori.

Una Emma Stone incredibile

A partire dalla sua incredibile protagonista, Emma Stone. Per lei questo è il film totale, l’attrice ha qui un character da portare sullo schermo per nulla facile, che molte, tante altre sue colleghe avrebbero potuto rendere ridicolo, e invece, lei, con la sua maestria, lo accompagna con grande consapevolezza, cresce insieme a lui, e lo tiene in piedi, lo fa camminare con sempre maggior determinazione. Inutile dire che ci sono anche le splendide prove attoriali di Willem Dafoe e Mark Ruffallo, i suoi due coprotagonisti.

È una storia piena di idee, di colori, di ironia, che restituisce allo spettatore un mondo che non esiste ma che è lo specchio di quello reale, Povere Creture, Poor Things, da amare, anche perché, a differenza di molti altri film in questa Venezia 80, osa, rischia, va sopra le righe e si mantiene al limite, in equilibrio su un filo sottile.

Il film

Tratto dal romanzo dello scrittore scozzese Alasdair Gray, il racconto ci conduce nella casa-laboratorio di un dottore, il medico Godwin Baxter, interpretato magnificamente da Willem Dafoe, la cui faccia rimanda al suo passato: piena di cicatrici, di ferite, poiché è figlio di uno scienziato che ha pensato bene di praticare la sua arte e le sue sperimentazioni direttamente sulla carne della sua carne.

Godwin, anch’egli scienziato, dedito pure lui a esperimenti discutibili, e con una propensione verso tutto ciò che verrebbe definito proibito ed esagerato, è diventato un luminare in campo anatomico, e s’imbatte nel cadavere di una giovane donna incinta, morta suicida. Per riportarla in vita impianta il cervello dell’infante nella testa della ragazza. Qui ci vorrebbe un effetto sonoro, un bel tuono in un cielo notturno.

E così prende vita Bella, Bella Baxter, che in questo ricambio di materia grigia, finisce per avere il corpo di una donna, su un cervello che deve crescere, si muove come una bambola, non ancora ferma e consapevole del suo corpo, inizia a rapportarsi con il mondo, e con gli istinti umani, a partire da quelli sessuali, e così quando passa a trovare il dottor Godwin un astuto avvocato (Mark Ruffalo), l’ingenua Bella, alla prese con il mondo, non ci pensa due volte a lasciare Duncan Wedderburn, l’aiutante dello scienziato, a lei promesso sposo e suo innamorato perso, per partire, alla ricerca di sé e dei suoi piaceri, senza filtri, senza condizioni sociali, senza freni inibitori, poiché lei è una creatura, un essere del tutto particolare, che non segue le regole sociali, che non conosce e che non le appartengono.

Fugge così dal palazzo, seguendo uno spirito d’avventura sopito negli anni, dal suo creatore che la tiene prigioniera, e salpa con l’avvocato (Mark Ruffalo). Al cospetto però di una creatura così libera e disinibita, e della quale s’innamora follemente, l’avvocato finisce per entrare in conflitto con questa sua ricerca di libertà: vuole tenerla solo per sé, rinchiuderla in quelle gabbie sociali, che non conosce e che erano state la base per il suicidio della giovane donna trasformata in “creatura”.

Troppa fame di vita

Così per averla tutta per sé la conduce in crociera, dove la può controllare più facilmente, ma Bella ha troppa fame di vita, e ad essere rinchiusa emotivamente nella sfera di un uomo non ci sta: a Parigi finirà in un bordello, e in ogni tassello, passaggio di conoscenza di questo mondo e di queste regole, si renderà conto anche delle sue storture, delle sue bruttezze, e delle sofferenze, delle quali, nel palazzo del suo padre-creatore, non aveva alcuna esperienza.

Il contatto con il dolore la farà inesorabilmente crescere. Capirà anche la condizione in cui una donna è costretta a vivere, ricercando la libertà come l’aria da respirare.

Un film, che per le scene legate all’iniziazione sessuale di Bella, sarà vietato ai minori di diciassette anni negli Stati Unit, scritto da Tony McNamara, che aveva già collaborato con Lanthimos per La Favorita, con costumi e scene meravigliose, s’avvale anche delle animazioni anni Cinquanta e Sessanta del cecoslovacco Karel Zeman, per accompagnare lo spettatore della favola nera e surreale da Londra a Budapest fino ad Alessandria d’Egitto, trasformate in città magiche e incantate.

In ogni tappa del suo viaggio, Bella cresce, passando dalla ribellione alla vita adulta, in un percorso di emancipazione come donna e come essere umano. Bella vive, scopre, tocca la vita in maniera libera, e dal bianco e nero del palazzo di Godwin andrà alla conquista del mondo, un mondo fatto di colori, sgargianti, brillanti, accesi.

Un’opera che riempie gli occhi e che scorre – dura centoquarantuno minuti – grazie a una scrittura sottile, ironica, coinvolgente, fatta di ritmo e di battute, che diverte in modo irriverente e in maniera provocatoria; elementi, questi, imprescindibili nel cinema di Lanthimos, che qui sdogana ogni censura e ogni divieto. Bella, in particolare attraverso il sesso, l’erotismo, ciò che lei definisce “i salti furibondi”, che è pure motore della vita, conosce sé e ritrova se stessa, in maniera disinibita, sfacciata, libera.

Straordinaria nel rendere tutto questo Emma Stone. Stupendi a farle da contraltare Willem Dafoe e Mark Ruffalo. Sempre affascinante la regia di Lanthimos che per ricreare questo mondo, metafora della realtà, s’avvale di grandangoli, di occhi di pesce, di campi lunghissimi, di spettrale bianco e nero, e sfavillanti colori, in cui inserisce anche il macabro e il grottesco (i soggetti con cui Bella si ritrova a fare sesso), finendo per divertire in maniera immediata, diretta, grazie a questi splendidi personaggi che ha deciso di portare in scena, sopra le righe, imperfetti, “povere creature” da amare.