Primo venne Caino, la recensione di Danilo Villani del thriller di Mariano Sabatini pubblicato da Salani.
Titolo: Primo venne Caino
Autore: Mariano Sabatini
Editore: Salani
PP: 288
Leo Malinverno, il giornalista piacione, protagonista de L’inganno dell’ippocastano già recensito su questo magazine ritorna a distanza di due anni, con il suo fascino, il suo piglio intraprendente, la sua ossessione per la verità. L’inchiesta nella quale si trova coinvolto ha tutti i connotati che conducono a un assassino seriale.
Un killer sui generis in quanto sceglie accuratamente le sue vittime, rigorosamente tatuate, asportando dalle stesse precedentemente soffocate, con perizia e discernimento una certa sezione epidermica la cui raffigurazione costituisce estrema importanza per lui stesso. Viene immediatamente battezzato col nomignolo Il Tatuatore. Il nostro giornalista dovrà districarsi tra più insidie quali forze dell’ordine reticenti, trappole a livello professionale e tempeste sentimentali. Da Leo Malinverno a Clark Kent il passo è breve…
Avevamo, come scritto in precedenza, salutato con entusiasmo l’esordio di Mariano Sabatini nella letteratura di genere ma, dopo aver terminato, riflettuto e metabolizzato Primo venne Caino, è affiorata più di qualche perplessità questo nonostante lo stile e la scrittura siano più che confermati. Prima di tutto la lunghezza dell’opera, ben al di sopra dello standard previsto per un giallo/thriller.
Questo, a nostro personalissimo avviso, in quanto:
- Alcune caratterizzazioni, la ragazza greca Eimì in primis e il padre di Malinverno, non hanno alcuna rilevanza nella trama principale se non quella di creare turbe al protagonista. Figure che lasciano il peso che trovano nell’economia del plot.
- Intento nobile quello dell’autore di inserire temi etici all’interno del romanzo quali il suicidio assistito o la legalizzazione della cannabis ma il lettore pensa di avere un giallo/thriller tra le mani e le aspettative sarebbero altre.
- Lo stesso Malinverno, da noi definito a suo tempo “non eroe, ma semplicemente uomo” smentisce il proprio essere con atteggiamenti alla “mò ce penso io”. Da qui il riferimento a Clark Kent.
- Una nota semantica: se dopo aver soffocato la mia vittima mi diletto a tatuare un qualsiasi simbolo sulla sua pelle posso essere definito “Il Tatuatore” ma se mi approprio dell’opera, sono ladro/collezionista di tatuaggi quindi il nickname sarebbe da riconsiderare.
Consideriamo il tutto, come direbbero i francesi, un accident de parcours, e di conseguenza sospendiamo il giudizio in attesa di rivedere, in un non lontano futuro, le nostre opinioni sulle opere di Sabatini.
Ad Maiora!