Cosa può accadere di peggio? Un racconto inedito di Daniele Cutali per Sugarpulp.

Dopo le nove di sera le strade della periferia nord ovest di questa città difficile diventano un Sahara. Il cielo è color grigio acciaio e folate di vento freddo sollevano turbini di foglie rinsecchite dall’autunno inoltrato.

Cammino con le spalle curve, appesantite dai pensieri, rabbrividisco per l’aria gelida che mi taglia le guance come un coltello. Mia moglie mi ha lasciato, diceva che non ce la faceva più a sopportarmi. Non riesco a capire come il nostro rapporto si possa essere deteriorato senza che me ne fossi mai reso conto.

Quando ha sbattuto la porta e se ne è andata via, stop, mi sono sentito un allocco. Un macigno tra capo e collo sarebbe stato meno doloroso. Questa è la cosa peggiore che mi è capitata la settimana scorsa. Rimango in attesa per stilare la classifica di quella in corso.

Il crepuscolo autunnale invoglia a stare seduti in poltrona con un plaid sulle gambe. Guardare alla tele qualche talk show ad altissimi contenuti culturali è il massimo a cui si possa aspirare per ampliare i propri orizzonti conoscitivi. Cazzo, pare di guardare delle discussioni animate tra oranghi, con tutto il rispetto per gli scimmioni.

Se guardo le assi portanti del soffitto di casa, da una settimana vedo soltanto una spessa corda intrecciata penzolare. Di sicuro non è un buon segno quindi è meglio che vada a farmi una passeggiata, anche con questo tempo di merda. Inizia a piovigginare, nell’aria stratificata le goccioline d’acqua gelida scendono pesanti.

Mi tiro su il bavero dell’impermeabile in un gesto vano di difesa contro l’acqua. Scende dal cielo sempre più veloce. Mi gratto il collo a causa di un prurito fastidioso. Ma cos’ho, le piattole?

Poco prima la via era deserta ma si sa, quando piove le auto spuntano come i funghi. Un maggiolino Volkswagen color cacchetta sfreccia sgommando sull’asfalto liquido. L’unica grande pozzanghera che si è formata vicino al bordo del marciapiede è sua proprio mentre sto passando io, ovvio.

Riesco a spostarmi per poco, evito l’inzaccheramento e lancio un pesante insulto in direzione dell’auto. In questi ultimi tempi mi pare di essere Paperino, cosa potrebbe accadere ancora di peggio?

L’auto si ferma inchiodando una decina di metri più avanti e vedo scendere qualcuno che mi lascia senza fiato per la sorpresa negativa. Anche la pioggia illuminata dai fari dell’auto sembra arrestarsi. Ma che coincidenza! Di peggio può accadere che sull’auto ci sia qualcuno talmente odioso da non sopportarne neanche la vista, appiccicoso come carta moschicida, inarrestabile nella sua logorrea. Simpatico come una vangata di taglio sulle palle.

«Jack, vecchiomiomaquantotempoèpassato? Erointentoaguidareimmersoneimieipensieri e non ti ho proprio visto, scusamiperlapozzanghera. Daisaliinmacchinacheandiamoaberciqualcosa, chissàperchécisiamopersidivista?»

Già, chissà perché? La domanda corretta è chissà perché stanno capitando tutte a me? non chissà perché ci siamo persi di vista?, maledizione. Alzo gli occhi al cielo sempre più nero e gonfio, mi guardo in giro e le strade ora paiono un Sahara inondato d’acqua. Non ho alternative, sono senza ombrello e mi sono allontanato troppo da casa. Con quella corda che vedo appesa poi, è meglio che stia in giro e rischiare una polmonite.

«Biff! Ma che meravigliosa coincidenza» gli sibilo a denti stretti. «In questo brutto periodo mi mancava la tua bella oratoria.» Si ripara alzando il giubbotto di pelle consunto sulla testa calva e vuota.

«Machecazzostaidicendo? Chec’entranoleorate? Sali forza che piove da fare schifo!». Mi faccio un’altra domanda. Perché mi è venuto un istinto omicida proprio in questo momento?

«Lascia perdere le orate, Biff. Ripariamoci da questa pioggia del cazzo». Lui fa segno col pollice di salire in macchina. Do un’occhiata fugace ancora in giro ma non ho davvero scelta se voglio smettere di prendermi acqua fredda sulla nuca, che già mi prude senza rimedio fin giù al buco del culo.

Saliamo sull’auto scalcagnata in contemporanea, sbattendo le portiere e sbuffando. Mi passo una mano tra i capelli per togliere le gocce sporche, grigie come il cielo. Biff sorride, mi mostra gli incisivi e i canini erosi che avrebbero bisogno di un’accurata igiene dentale. Alzo una mano.

«Biff, per favore. Ti prego» sibilo ancora più stizzito di prima.

«Che c’è, Jack? Perchémiguardicosìmaledopotuttoquestotempoche non ci vediamo?»

«Fammi finire. Ti chiedo per favore di parlare più lentamente, non ti capivo tempo fa e non riesco a capirti adesso. Anzi, in questo periodo sembra che non riesca a capire proprio nessuno.»

Biff fa uno sforzo sovrumano e arriva all’eccesso opposto. Scandisce parola per parola. «Hai-ragione. Me-lo-dice-un-sacco-di-gente-che-parlo-troppo-veloce.»

Scuoto la testa. «Non così lento però, che mettiamo radici. Allora, dove andiamo a bere?»

Infine Biff, con un notevole sforzo, riesce a parlare normale. O quasi. «Da qualche tempo sto frequentando un posto davvero speciale. Ti ci porto, devi vederlo.»

«È un nuovo locale?»

«Diciamo di sì. È nuovo qui da noi in città ma in altri posti è aperto già da un pezzo. Si chiama Living Dead».

Mi scappa una risata mentre Biff avvia l’auto lungo la strada che pare terminare nel nulla. Solo grigio e pioggia scrosciante. «Ma che razza di nome è?»

«Un nome magico per gente speciale.»

«In tutti questi anni che ti conosco non ti ho mai sentito dire cose così strane. Poi tu, che sei sempre stato così…»

«Così come, Jack? Dillo. Ignorante? L’hai sempre pensato, vero?» Biff ferma l’auto. Penso voglia farmi scendere a causa dell’insinuazione che ho fatto, ma non è così. Invece apre il giubbotto e alza il maglione, troppo stretto sulla pancia.

«Che cazzo stai facendo, Biff? Guarda che non sei il mio tipo, anche se mia moglie se ne è andata».

Non si scompone. A chi può fregare che mia moglie mi ha lasciato, se non a me? Quando il maglione gli arriva all’altezza del petto, punta l’indice su un piccolo foro all’altezza del cuore. Riprende a parlare veloce per l’emozione.

«Lovediquesto, Jack? Èilforodiunproiettile. Mihannosparatoseimesifa. Sonomortostecchito».

Va bene, è andato fuori di testa non so per quale motivo e non me ne frega niente. Chissà che merda si è sniffato. Adesso sono io a voler scendere da questa cazzo di macchina. Già non sono per nulla contento di vedere uno come Biff dopo tanto tempo, mi manca soltanto che sia strafatto e delirante.

«Me ne vado, Biff. È stato veramente un gran piacere rivederti» mento.

«AspettaJack. Toccamiilpolso».

Non so neanche perché, gli tasto il polso con riluttanza. Nessun battito e la carne è fredda come il Polo Nord. Rimango di sasso e cerco di ricordarmi se non sia io quello che ha assunto qualche stupefacente.

«Haipruritoalcollo, veroJack?» Mi indica il punto dove prima mi stavo grattando. «Guardatinellospecchietto».

Lo faccio e mi vien da vomitare. Sono pallido come un lenzuolo, intorno agli occhi ho dei cerchi violacei grandi come un pallone di calcio e un profondo segno rosso largo due dita mi attraversa la gola fino a scomparire dietro le spalle. Ecco perché a casa vedevo quella corda che pendeva dal soffitto. Non era immaginazione. Cazzocazzocazzocazzo!

Biff sembra sapere molte cose. «L’abbandono di tua moglie è stato un brutto scherzetto con tragiche conseguenze, eh?»

«Che ne sai tu?»

«Nel mondo dei morti si sanno sempre tante cose.»

«Ma quindi sono morto anch’io? Mi sono impiccato?»

Biff annuisce e riparte. «Andiamo al Living Dead, Jack. Lì saremo in buona compagnia. Tutti morti come noi che fanno baldoria, mentre attendono il loro posto in paradiso.»

Questo è davvero il peggio della settimana. Mi butto sullo schienale e mi gratto di nuovo il collo. «O all’inferno, Biff».