Quel maledetto Vrosnkij di Claudio Piersanti, la recensione di Maila Cavaliere per Sugarpulp MAGAZINE del romanzo finalista al Premio Strega.

Quel maledetto Vronskij, recensione

  • Titolo: Quel maledetto Vrosnkij
  • Autore: Claudio Piersanti
  • Editore: Rizzoli

L’ ordinario è un potente ansiolitico. Spesso è il rassicurante metronomo della nostra esistenza, segna il tempo ciclico dei gesti consueti ed è sponda a tante incertezze, a numerose paure.

È questa la condizione di Giovanni, protagonista del nuovo romanzo di Claudio Piersanti, (QUEL MALEDETTO VRONSKIJ, Rizzoli, 2021) entrato a pieno titolo nella dozzina del LXXVI Premio Strega.

La lunga e appagante relazione del protagonista con la moglie Giulia, scombussolata prima dal dramma della malattia, subisce una improvvisa crisi a causa della inaspettata scomparsa della donna.

Giovanni, uomo pacato e ragionevole, diviene preda di una disperazione invincibile. Quando scopre sul comodino di Giulia una copia di Anna Karenina, si lascia tentare dal pensiero del dubbio e del tradimento.

Si insinua in lui la dolorosa convinzione che sua moglie, come l’ eroina del romanzo di Tolstoj, abbia ceduto ad un amante, un Vronskij qualunque, un maledetto Vronskij, che ne abbia saputo carpire la fiducia, ledere la dignità, tanto da averle fatto rinunciare a tutti i ruoli della vita precedente.

Incapace di abitare ancora i luoghi del loro amore, Giovanni usa la tipografia come pied-à-terre e lì porta a compimento un ambizioso progetto, una copia pregiata e artigianale del capolavoro russo, l’ unico passatempo in grado di aiutarlo a sopportare l’ assenza e la gelosia.

Con una voce letteraria sommessa e gentile, Piersanti torna a raccontare una vita che sfugge al controllo e alla programmazione, un’ esistenza a cui i libri possono dare temporaneo sollievo, non tanto per il loro contenuto, quanto per la loro ordinata e consistente struttura.

Giovanni è un uomo che sa attendere, nelle avversità della vita, impiegando il tempo in una necessaria orditura, in una nobile trama che rende l’ attesa meno drammatica ed epicamente possibile.

La scrittura di Piersanti, col suo stile pacato ed elegante, senza sbavature eppure profondamente evocativa, riesce e rendere consistente le nostre paure, delineando con tratti reali ed inquietanti i pensieri più dolorosi che ci attraversano.

Dopo IL RITORNO A CASA DI ENRICO METZ, I GIORNI NUDI e VENEZIA, IL FILO DELL’ ACQUA, Piersanti torna a narrare la malattia della verità e il peso dei silenzi, attraverso la dissoluzione della trama tradizionale, nella singolare e limpida declinazione di differenti solitudini.

Risuonano, in queste pagine di grande letteratura, echi del migliore Pontiggia de LA GRANDE SERA e IL RAGGIO D’ OMBRA.