Dopo un inizio fulminante Roadkill sconta l’assenza di una vera e propria trama e alla lunga diventa ripetitivo e noioso
Titolo: Roadkill
Autore: Helene Hegemann
Editore: Einaudi
PP: 208
Prezzo: 17.50
Premetto che ho cominciato la lettura di Roadkill un po’ prevenuto. Avevo letto mesi fa Hell di Lolita Pille, racconto di una discesa agli inferi di una ricca, viziata e drogata teenager parigina – un libro sulla falsariga di Bret Easton Ellis ma senza un decimo del suo talento – e Roadkill mi sembrava pericolosamente simile, con il solo cambio di ambientazione da Parigi a Berlino.
Lette però le prime pagine, mi sono subito ricreduto. Roadkill è scritto meglio di Hell, molto meglio; fin dall’incipit incandescente lo stile si rivela davvero convincente e anzi stupefacente per una diciassettenne (Helen Hegemann è nata a Friburgo nel 1992, figlia di un noto scrittore e drammaturgo). E infatti non è proprio tutta farina del suo sacco.
Come ha dovuto candidamente confessare l’autrice una volta scoperta, Roadkill contiene una quantità notevole di citazioni e suggestioni provenienti da molteplici fonti, tanto da far gridare più di uno al plagio.
La giovanissima autrice si è difesa, sostenendo il suo diritto ad attingere a libri e film di ogni genere, perché anche questa è arte ai nostri giorni, e del resto i musicisti non fanno lo stesso (basti pensare al 99% della musica hip hop o elettronica)?
Non è mia intenzione impelagarmi adesso in una discussione sull’originalità o meno dell’arte contemporanea, ma mi limito a notare che quantomeno la Hegemann ha avuto il pregio di scegliersi dei buoni autori da “plagiare”, come Kathy Acker, Malcolm Lowry o David Foster Wallace per intenderci, e in fondo la sua operazione di copia e incolla ricorda un po’ i cut-up di burroughsiana memoria.
Come scrive l’autrice all’interno del libro, citando tra l’altro Jim Jarmusch (e qui sta la finezza, difendersi dall’accusa di scopiazzatura con l’ennesima citazione nascosta):
mi servo ovunque trovi ispirazione o stimoli. Film, musica, libri, quadri, poesie, foto, conversazioni, sogni (…), perché il mio lavoro e i miei furti diventano autentici non appena qualcosa sfiora la mia anima. Non importa dove prendo le cose l’importante è dove le porto.
Il guaio vero invece è che, purtroppo, dopo un inizio fulminante, il libro sconta l’assenza di una vera e propria trama e alla lunga diventa ripetitivo e noioso. Si susseguono scene sempre più scioccanti che riecheggiano (o copiano quasi integralmente) cose già viste altrove: per esempio, la protagonista sogna a un certo punto di essere scuoiata come nel film horror Martyrs e così via. Il lettore è sottoposto a una continua escalation con lo scopo di scioccarlo sempre di più, ma dopo un po’ il gioco stanca e diventa prevedibile.
Ma cosa racconta Roadkill? La trama, come detto, è alquanto esile e viene raccontata tramite un mix di allucinazioni (stupefacenti o simil-psicotiche), telefonate, email, sms e quant’altro, dimenticandosi però il principio fondamentale che se una storia è noiosa, lo rimane anche quando è raccontata in maniera non lineare, cercando di incasinare il più possibile le idee al povero lettore.
Seguiamo così sempre più attoniti i tormenti esistenziali della sedicenne Mifti, appartenente alla ricca e viziata borghesia e orfana di madre, che a dispetto del suo benessere materiale cerca in ogni modo e con una tenacia impressionante l’autodistruzione e il nulla, sperimentando le sostanze e le perversioni più diverse.
Insomma, il copione già visto della minorenne colta, annoiata e ribelle, che vive con i fratelli (il ricchissimo padre è assente e in generale gli adulti fanno tutti una pessima figura) e s’innamora di Alice, una donna di quarantasei anni (così si aggiunge scandalo a scandalo, giusto per andare sul sicuro).
Né i coetanei sembrano diversi da Mifti, tutti descritti privi di valori etici o religiosi e nauseati dalla vita, che dissipano la propria esistenza passando da un rave all’altro con addosso vestiti firmati da svariate migliaia di euro. Verrebbe voglia di spedirli tutti in un campo di lavoro in Africa.
In Germania Roadkill ha venduto un milione di copie e attirato l’attenzione dei critici. Merito sicuramente dell’identificazione da parte del pubblico della diciassettenne Hegemann con la povera Mifti, come successo anche in Italia con Melissa P, e dimenticando che Roadkill è essenzialmente un’opera di fiction con spiccate ambizioni AvantPop – alquanto furbetta aggiungerei, sicuramente sottoposta a un editing e una promozione decisamente accorti.
Roadkill è stato perfino accostato a Noi, I ragazzi dello zoo di Berlino, il più crudo e sincero ritratto mai realizzato della tossicodipendenza, trascurando il fatto che quello era un reportage scritto da due giornalisti (anche se poi fu firmato da Christiane F.) e basato integralmente su fatti reali, non un’invenzione letteraria.
La Hegemann il talento ce l’ha, considerata anche l’età; la speranza è che la prossima volta lo impieghi per darci un romanzo più autentico, che non si riduca a un fuoco di fila di effetti speciali.