Run Hide Fight: l’unico modo per sopravvivere è correre, nascondersi e combattere. La recensione di Matteo Strukul.
Run Hide Fight di Kyle Rankin viene proiettato fuori concorso alla 77a edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e racconta in modo agghiacciante il fenomeno delle stragi nelle scuole. Anche se non tutto funziona come dovrebbe.
Gli intenti di Rankin
Girando il film, il regista Kyle Rankin ha dichiarato di aver scritto questa storia per “affrontare la paura e il senso di impotenza di fronte alle sparatorie di massa”.
A questo proposito va detto immediatamente che riesce in pieno nel proprio intento dal momento che le sequenze iniziali non solo lasciano turbati ma alimentano un’angoscia che non abbandonerà più lo spettatore per buona parte del film.
Zoe, giovane eroina suo malgrado.
Protagonista della pellicola è Zoe Hull, interpretata con grande intensità da una giovanissima ma già brava Isabel May che, per tratti e fattezze, ha qualcosa della Jennifer Lawrence di Un gelido inverno.
In seguito alla morte per cancro della madre, Zoe ha maturato un senso di rabbia che la rende una diciottenne distaccata e fredda, incline a scatti d’aggressività.
Fin dalla prima sequenza, quando accompagna il padre Todd (Thomas Jane) a caccia, centrando un cervo da lontano al quale poi fracassa la testa con una pietra per non farlo soffrire, capiamo di avere di fronte una ragazza dai forti conflitti interiori. Come minimo.
Successivamente, mentre si trova a scuola per l’ultimo giorno prima degli esami, quattro studenti sciroccati sfasciano la mensa entrando con un furgone blindato. Prendono in ostaggio una trentina di ragazzi, ammazzandone alcuni a colpi di mitra e fucile.
Il folle intento è quello di diventare famosi, facendosi riprendere in diretta dagli smartphone degli ostaggi per poi finire sui telegiornali nazionali. Zoe, che precedentemente si era recata in bagno, scopre accidentalmente quel che sta accadendo e da quel momento è costretta a correre, nascondersi e combattere per sopravvivere.
Over the Top
Il film nella sua drammaticità ha un ritmo da mozzare il fiato e Isabel May è davvero credibile nella propria parte. Prima terrorizzata, poi consapevole di dover fare qualcosa, infine eroina.
La trasformazione è ben congegnata e calibrata anche se nel finale si esagera e questo è, a mio giudizio, il punto debole del film. Rankin sembra volere a tutti i costi mantenere una circolarità del racconto ma, così facendo, rende il personaggio di Zoe meno credibile.
Siamo più che disposti a vederla prendere le parti dei più deboli a patto di non arrivare ad accettarla come una killer in stile Punisher. Rimane il fatto che il film sotto il profilo della tensione non ha cedimenti di sorta. Ottima la prova di Eli Brown nei panni del giovane psicopatico Tristan Voy che non manca di esibire un nichilismo terrificante, lo stesso che caratterizza gli assassini di massa o mass murderer.
Run Hide Fight, denuncia sociale che scivola nel genere
La sensazione, tuttavia, è quella di assistere nella seconda metà a una rappresentazione che, spettacolarizzando fin troppo gli scontri, smarrisce il senso del film, non del tutto ma in parte sì. Confrontando la pellicola di Rankin con film dalle caratteristiche simili, penso per esempio a Utoya: July 22 che non concede nulla o quasi allo spettacolo e mantiene invece la barra ben salda sul crudo, devastante fatto accaduto, l’intento di denuncia e orrore va infine a diluirsi per sfociare in qualcosa di diverso che certo non è spaesamento o senso di impotenza.
Diciamo che Run Hide Fight scivola nel genere dopo essere partito come pellicola di denuncia sociale. Insomma, forse il fatto di non riferirsi a un evento in particolare scegliendo di trattare il tema generale ha fatto perdere al film il rigore necessario anche se, va detto, in Run Hide Fight i pregi superano i difetti.