Shorta, di rederik Louis Hviid e Anders Ølholm, è un esordio folgorante che lascia a bocca aperta. La recensione di Silvia Gorgi.

Shorta, in concorso alla Settimana Internazionale della Critica a Venezia 77, è un film strepitoso.

Un esordio folgorante per la coppia di registi danesi Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm, che ci portano all’interno del ghetto di Svalegården, a prevalenza musulmana.

Due poliziotti, dopo una giornata di pattuglia, restano bloccati proprio a Svalegården mentre il quartiere è in rivolta per la notizia della morte di un ragazzo arabo, Talib. Morte avvenuta dopo che il ragazzo era stato arrestato dalla polizia.

Quando la radio annuncia che Talib è morto, per i due “sbirri” la strada per uscire dal quartiere diventa ardua. Diventano infatti un bersaglio facile per la rabbia repressa e incontrollabile dei giovani del ghetto che bramano vendetta.

Un film profetico

La prima scena del film racconta la morte di Talib e sembra precorrere, anche nelle parole, quel “I can’t breathe” pronunciato da George Floyd che ha poi scatenato il movimento Black lives matter negli Stati Uniti. I registi hanno dichiarato di essersi ispirati invece al caso Benjamin, accaduto quasi trent’anni fa in Danimarca, in cui un giovane venne soffocato dalla polizia (tanto per ricordarci quanto la Storia, nel suo peggio, si ripeta). 

Gli agenti Jens e Mike, all’inizio della vicenda, sembrano incarnare l’archetipo del “poliziotto buono” e “poliziotto cattivo”. Jens, implicato nel fermo del giovane arabo morto, cerca di sopravvivere al difficile equilibrio tra potere e controllo nel rapporto fra polizia e civile. Proprio a lui viene assegnato come compagno di pattuglia Mike problematico, xenofobo e violento.

Ma nulla è come sembra. Nel corso di queste quasi due ore di pellicola (e nelle 24 ore di durata dell’azione), i due protagonisti, insieme a un ragazzino arabo arrestato durante la giornata, cambieranno il loro modo di pensare. Si ritroveranno ad affrontare, mentre fuggono lungo le vie del quartiere degradato, i loro fantasmi. Dovranno fare fare i conti con loro stessi, con le loro idee, con “quello che sono diventati”. Dovranno rimettersi in gioco. 

È di sicuro un film d’azione Shorta, termine con cui viene chiamata dalla popolazione araba danese la polizia (da shorts, sbirri), ma è molto più di questo.

A sottolineare tutti i momenti di tensione in cui finiscono gli agenti, braccati dai ragazzi che li seguono filmandoli con i telefonini e che dovranno lottare con tutte le loro forze per trovare una via d’uscita dal ghetto, oltre a riprese eccezionali con la steadycam, anche un sonoro, curato da Morten Green, davvero potente che coinvolge in maniera emotiva lo spettatore.

Shorta, un film impossibile da etichettare

Shorta esce totalmente da ogni categoria o etichetta in cui lo si voglia inserire. Stupisce, sconvolge, spezza gli stereotipi e li ricostruisce. Fa analisi sociale, immergendoci nella complessità in cui viviamo. Ci tiene incollati alla storia.

Riporta alla mente I guerrieri della notte, che in qualche modo omaggia, ma anche Training Day, Distretto 13 – Le brigate della morte.

I due registi hanno dichiarato che, oltre a Walter Hill, si sono ispirati a film come L.A. Confidential, Point Break, L’odio. Per quanto riguarda lo stile visivo invece le suggestioni arrivano da Il figlio di Saul, Salvate il soldato Ryan, e i lavori Nicolas Winding Refn (qui la fotografia è a cura di Jacob Møller).

5 anni di lavorazione

«Non ci interessa esprimere giudizi ma capire perché le persone fanno le cose che fanno e come arrivano a vedere il mondo in un certo modo», sottolineano Hviid e Ølholm, che hanno diretto e sceneggiato il film.

Un lavoro lungo cinque anni, frutto anche della collaborazione con Jacob Lohmann e Simon Sears, i due protagonisti del film, per quanto riguarda lo sviluppo dei due characters principali.

«Shorta è una storia di speranza, non un film politico» hanno precisato i due autori. «Guardare un film in un cinema è un’esperienza comune, che riunisce le persone. Questo è quello che vogliamo faccia il film. Speriamo possa aiutare a rendere la conversazione su questioni difficili almeno un po’ più facile».

Proprio per la società in cui viviamo, per i fatti di cronaca recenti e recentissimi, un film come Shorta, per l’universalità dei temi che tratta. dovrebbe poter avere la massima distribuzione.

Shorta è un film che ci fa entrare nella complessità sociale in maniera mai banale, proprio per questo tutta la crew di Sugarpulp si augura che arrivi in sala anche in Italia, perché questo è un film da vedere al cinema.

L’esordio di Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm è folgorante. Shorta è un film da vedere e rivedere, in grado di farci provare cosa significhi essere dall’altra parte. Un film che ci fa capire quanto è importante uscire dal nostro punto di vista e tentare di capire ciò che è “altro” da noi.