Sin City
Non è mai facile delimitare i confini di un capolavoro: c’è sempre il timore di non riuscire, in poche righe, a rendere giustizia al lavoro di un maestro del cinema che, per le profonde e perduranti emozioni che sa regalare, non meriterebbe di essere liquidato con la lapidaria brevità di una recensione.
“Sin City” appartiene a due grandi, Miller, conclamato genio del fumetto, e Rodriguez (prima di questo exploit, “solo”ottimo intrattenitore a più livelli, da quello adulto della trilogia del Mariachi e dei suoi horror, a quello più giovane, esemplificato dalla bella serie per famiglie “Spy Kids”), che irrompono con grazia e brutalità nel panorama solitamente un po’ ingessato del cinema-fumetto.
Sì, perché “Sin City” non è semplicemente un film tratto da un fumetto, quanto piuttosto un fumetto che prende vita davanti alla cinepresa, e lo fa con gli eccessi di grottesca, insistita ed “esagerata” violenza delle pagine che ne sono la fonte, ma anche con una leggerezza di tocco registico magistrale, in grado di trasportare lo spettatore in un mondo suggestivo e fantastico, teatro delle gesta di assassini, poliziotti corrotti, prostitute, cannibali, eroi, prelati folli etc.
Il fosco, opprimente quadro non soffoca il film, apparentemente frenetico e sovraccarico di contenuti nei suoi 126 minuti, proprio per i continui cambi di ritmo e di prospettiva – grande Quentin Tarantino, guest star director: solo lui poteva inserire una scena ancora più folle del film che la contiene, una breve sequenza che rivela in pieno la luciferina mano del suo autore – , supportati da una fantasia visiva e visionaria splendida, che mostra l’amore ed il rispetto dei registi per il loro materiale, e consegna al pubblico un noir memorabile, viscerale, allucinato e a tratti allucinante, ed allo stesso tempo di una tale disperata poesia e perfezione formale come raramente – mai? – si è visto sullo schermo.
A tutto questo prende parte un cast di primissimo piano, dove, tra i tanti, si possono menzionare un grandissimo Rutger Hauer, ai livelli dei tempi d’oro, il magnifico Marv di Mickey Rourke – non così in forma da vent’anni – , emblema di un film tormentato, furiosamente anelante ad un qualcosa di più “alto” rispetto alla realtà crudele in cui è immerso, e il cannibale esoterico di Elaja Wood – uno dei più odiosi figli di puttana mai apparsi in un film – , lontanissimo dall’hobbit che lo ha reso famoso.
Difficile, se si riesce ad andare oltre la crudezza di quello che viene mostrato, non parlare di capolavoro.
Dal fumetto al film: Sin City di Matteo Strukul