Per la notte di Ognissanti, vi propongo Sleepaway Camp, piccolo e misconosciuto slasher entrato nell’empireo dei cult.
Se dovessero chiedervi una caratteristica del cinema horror degli anni ’80, non potreste evitare di menzionare, tra le altre cose, la serializzazione di tante fortunate pellicole. Mai, secondo me, c’è stato un periodo in cui vennero partoriti tanti sequel o imitazioni come nel decennio in questione, soprattutto nel cinema dell’orrore ed in particolare nel neo-scoperto filone dello slaher movie, a partire dai tre capostipiti del new-horror holliwodiano: Non aprite quella porta, Venerdì 13 e Halloween. Freddy Krueger venne poco dopo, ma era frutto di stilemi e canoni già codificati, come molto successivamente ci dirà lo stesso Craven in Scream.
Venerdì 13 (che, per inciso, mostra strane e poco casuali analogie con il “mariobaviano” Reazione a catena, temporalmente precedente) ed il superbo Halloween diedero la stura ad una partenogenesi di loro seguiti e ad una proliferazione di cloni assassini seriali senza precedenti. Nella moltitudine di pellicole, ecco che nel 1983 sbuca Sleepaway Camp, che già dal titolo vagheggia echi del più noto e mortifero Crystal Lake Camp. Piccola sinossi d’obbligo: due bambini, Peter e Angela, ed il loro padre nuotano beati in un lago, ignari che di lì a breve – cercando di raggiungere la riva su cui li aspetta il compagno (sì, il compagno!) del papà – saranno travolti da un motoscafo impazzito che li falcierà tutti e tre.
Otto anni dopo, scopriamo che al fattaccio è sopravvissuta Angela la quale era stata affidata alla zia, personaggio piuttosto “stranetto”. Con il cugino Ricky, l’introversa e timida Angela, viene spedita al campo estivo in cui sarà oggetto del dileggio (anche pesante) di grandi e piccini. Senonché, chiunque osi turbare in qualche modo la piccola, taciturna e schiva Angela, fa una brutta fine. I sospetti ricadono sul cugino Ricky. E qui mi fermo, perché se procedessi oltre rischierei seriamente di spoilerare.
Sleepaway Camp, nella sua ora e mezza di durata, apparentemente non offre cose tanto diverse da un qualsiasi altro mediocre slasher: della serie “misterioso assassino massacra gente”. Tuttavia, sebbene il gore resti al di sotto della media (mai comunque altissima) e gli omicidi non siano particolarmente fantasiosi, in Sleepaway Camp ciò che colpisce sono certe immagini e certi contenuti che, all’epoca, erano davvero “avanti” per quel genere di film e relativo target di pubblico: l’omosessualità non celata del padre, l’esplicito tentato abuso sessuale da parte di un adulto che morirà male, il bullismo non solo verbale di grandi e piccoli nei confronti del “diverso” (quello strano e sfigato che tutti abbiamo avuto in classe) l’estroversa sessualità di una minorenne troietta, il massacro – a colpi di ascia – di quattro bambinetti nei loro sacchi a pelo.
Interessanti, inoltre, sono i flashback di Angela che – con il senno di poi – costituiscono criptici indizi sulla scoperta del who-dune-it; visivamente, le immagini essenziali stagliate sul fondo nero del subconscio, non possono non ricordare gli squarci onirici delle protagoniste degli psico-erotic-thriller italici di Sergio Martino (Tutti i colori del buio, Lo starno vizio della Sig.ra Ward, Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave) di una decina d’anni prima. Nonostante qualche buco di sceneggiatura, su cui si può benissimo sorvolare dato il prodotto, ed oltre le sopra citate qualità (che potrebbero essere apprezzate da uno spettatore sopra la media dell’abituale fruitore di slasher), cosa ha reso Sleepaway Camp il cult movie che è? Il finale ovviamente, considerato uno dei più scioccanti della storia del cinema horror.
Ovviamente non ve lo svelo. Se siete cinefili incalliti, potrete recuperare questo film, inedito in Italia; se siete dei pigroni a cui piace leggere l’ultima pagina del libro per vedere chi è l’assassino, potete andare su Wikipedia e fare finta di averlo visto, o potete guardare solo il finale direttamente su Youtube, oppure potete dilettarvi in questa piccola sciarada che vi propongo: anagrammando la frase “ALLAGANO CHIAZZE”, avrete la chiave del finale. Tuttavia, che gusto c’è… Buona festa di Ognissanti (oggidì nota ai più come Halloween…). P.S. Quasi 10 anni dopo, un apprezzato e pluripremiato regista inglese, utilizzerà (probabilmente un caso?) lo stesso tipo di finale per un film assolutamente diverso. Sta a voi capire quale.