Slevin di Paul Mc Guigan è un film convincente e ben riuscito anche se piuttosto discontinuo
Paul Mc Guigan (conosciuto soprattutto per Gangster No. 1, ma autore anche dell’interessante Acid House di Irvine Welsh) è un regista abile e non banale, capace di dare un’impronta personale, ruvida e anti-hollywoodiana anche alle trame apparentemente più di genere.
Lucky number Slevin, che a prima vista potrebbe sembrare solo l’ennesimo pastiche gangsteristico prodotto sulla remunerativa scia del pulp cinematografico post-Tarantino, è invece un’opera interessante e personale, ben più sentita, intensa e riuscita della media dei crime movies moderni.
Mc Guigan dà un’impostazione autoriale alla pellicola fin dalle concitate e violente sequenze d’apertura, arricchite da un lungo e drammatico flash-back, gettando così le fondamenta, nei primi minuti (mentre lo spettatore è ancora frastornato dal brusco incipit), dell’anima oscura e dolorosamente rabbiosa del suo anomalo action-thriller.
Lo script di Jason Smilovic vede poi il mite Slevin (Josh Hartnett) – ospitato a casa di un vecchio amico improvvisamente irreperibile- finire, per uno sfortunato scambio di persona, nelle grinfie degli sgherri di ben due bande criminali (ovviamente rivali), guidate da due feroci gangster: il Boss (Morgan Freeman) e il Rabbino (Ben Kingsley), ex-soci ora acerrimi nemici.
Coinvolto in una pericolosa rete di vendette incrociate, con la misteriosa regia occulta del killer Mr. Goodkat (Bruce Willis), e con il fiato sul collo dell’indispettita polizia di New York, il buon Slevin (aiutato dalla solerte “ragazza della porta accanto” Lucy Liu) si troverà a passare il classico brutto, bruttissimo quarto d’ora. Questo almeno fino alla spiazzante e sanguinaria resa dei conti.
Strano film, questo Slevin di Mc Guigan, non privo di difetti, a cominciare da un eccesso di grottesco in alcuni personaggi (in particolare nelle figure dei tirapiedi dei boss, a tratti un po’ troppo marcatamente macchiettistiche) e di tarantinismo in certi insistiti dialoghi ad effetto (soprattutto nella parte centrale) regalati dalla sceneggiatura a Freeman e Kingsley (ai quali, peraltro, un impagabile e serafico Hartnett risponde sempre a tono).
Il grottesco, alla maniera della Yakuza “stupida” dei lavori di Kitano, è però anche un ricercato marchio di fabbrica di Mc Guigan, che così circoscrive, irridendolo, un sottobosco criminale violento e truce, tragicamente ridicolo e fuori dal tempo, isolandolo dal contesto proprio delle persone comuni, nelle cui vite lo stesso non rinuncia, per un profitto parassitario e ignobile, a volersi comunque infiltrare.
Naturalmente, il cast stellare sta al gioco con la classe che è lecito aspettarsi da interpreti di questo calibro. Ben Kingsley e Morgan Freeman, ex-amici divisi da un odio insanabile, impersonano egregiamente due personaggi consumati dalla loro stessa malvagità, Bruce Willis, chiaramente divertito, è perfetto nel ruolo del killer infallibile che “viene da fuori”, mentre è quasi irriconoscibile il bravo Stanley Tucci, sbirro dall’anima compromessa dai troppi, terribili peccati.
Quanto ai protagonisti Josh Hartnett e Lucy Liu, c’è da dire che il primo recita in modo convincente e toccante il ruolo più bello del film, mentre la seconda, ottimamente in parte, rivela un lato brillante e leggero, insospettabile per l’attrice di tanti action movies.
Slevin – Patto criminale è, in conclusione, un lavoro originale e riuscito, anche se piuttosto discontinuo, un’opera che chiede allo spettatore di accettarne “in bianco” e comunque le regole, con l’unico scopo di sovvertirle in toto nel finale, per rivoluzionare completamente premesse, messaggio e contenuti.