Slither, divertente e ironico omaggio ai B-Movies fantahorror degli anni che furono, è un esempio raro di riuscito ibrido tra horror e commedia brillante
James Gunn, che ha saputo adattare al gusto del pubblico moderno il capolavoro di George Romero “Dawn of the dead”, sceneggiandone l’omonimo remake di Zach Snyder, esordisce alla regia con un gustoso omaggio ai B-movies fanta-horror degli anni che furono, rivisti in salsa satirico-splatter.
In “Slither”, realizzato sotto l’egida della Universal – major USA da sempre tra le più attente alla rivalutazione del cinema di genere – , Gunn, cresciuto alla scuola Troma, ha saputo infilare il meglio del lato oscuro della pop-culture: l’invasione aliena, implacabile sterminatrice di un’umanità che sembra fare di tutto per meritarsi lo sterminio, da quanto è inetta e ottusa; la cittadina americana di provincia sempliciotta e retrograda il giusto, ma anche culla dei valori fondanti (famiglia, tradizione, amicizia, patriottismo) che hanno fatto grande la più potente democrazia del mondo; il solito gruppo di sopravvissuti in lotta contro un nemico preponderante e semi-inarrestabile; e, naturalmente, i cliché, gli stilemi, il gore estremo ed esplicito, insomma i contenuti immancabili e canonici propri del classico zombie movie.
L’aspetto piacevolmente sorprendente è che Gunn frulla l’abbondante carne al fuoco, condendola con una buona dose di humor intelligente e allegramente folle, ottenendo un prodotto di (ricercato) intrattenimento che funziona a tutti i livelli.
L’atmosfera ricreata dal regista nel film – con echi di serie B “alta” che vanno liberamente a pescare da Romero a Carpenter (“La cosa”), a Brian Yuzna (“Society”) – , lungi dall’essere solamente meccanico citazionismo, risulta invece estremamente funzionale ad un racconto che muta registro di continuo, passando dal romantico, al drammatico, al comico, al gore e viceversa, con leggerezza e fluidità stilistica.
Elementi questi che rivelano la bravura di un autore che non solo mostra di amare realmente la materia che tratta, ma anche di conoscerla in profondità e di avere ben chiari gli obiettivi artistici che si è prefissato. Il cast, ben assortito, sa assecondare la narrazione e gli intenti lucidamente dissacratori dell’opera di Gunn con performance decisamente convincenti.
Elizabeth Banks è un divertente mix di devozione coniugale e ingenua semplicità d’animo, Michael Rooker (Grant Grant) presta con vigorosa efficacia volto e corpo (in deforme disfacimento) alla pericolosa minaccia extraterrestre, Nathan Fillion, lo sceriffo, guida il suo personaggio in mezzo ai peggiori massacri con una comica imperturbabilità semplicemente irresistibile, e Gregg Henry, l’irascibile sindaco repubblicano della sfortunata città di Wheelsy, è impagabile nel suo ritratto di idiota arrogante inevitabilmente destinato alla giusta, prevedibile, bruttissima fine.
“Slither” è un esempio raro di riuscito ibrido tra horror e commedia brillante, dove l’orrore, mai veramente farsesco, e anzi sempre “serio”, quando non proprio brutale (si veda l’aggressione alla prima vittima di Grant Grant o l’assalto dei vermi alieni nella stanza delle bambine alla fattoria), riesce ad illuminarsi di sprazzi di ironia sarcastica, ed è inoltre presentato come “reale” e credibile da una bella sceneggiatura (dello stesso Gunn) che sa rendere autentici e tridimensionali i vari personaggi della storia, a prescindere dal tempo loro concesso sullo schermo.
C’è, insomma, in “Slither”, del sano divertimento cinefilo, che pur offrendo una risata quasi sempre un po’ al sangue, rende ulteriore conferma che lo splatter anni ’80 continua a produrre buoni registi e validi autori.