Small Apartments: un film  “small” solo nel titolo.

Giunto alla terza prova registica dopo il seminale e ormai cult Spun (un drug movie surreale sulla scia di Trainspotting e Requiem for a Dream) e il più lineare e poco ispirato thriller psicologico The Horsemen, Jonas Åkerlund mette in piedi una storia weird che non si scorda tanto facilmente.

Protagonista e mattatore delle scene è Franklyn Franklyn, interpretato da Matt Lucas, già visto nella fortunata serie tv Little Britain e in Alice in Wonderland di Burton (nei ruoli di Pincopanco e Pancopinco). L’eccentrico personaggio, calvo ed eufemisticamente sovrappeso, vive in uno squallido appartamentino di Los Angeles, sogna la Svizzera (suona persino un enorme corno elvetico alle ore più improbabili), beve Moxie Cola e ha la stramba abitudine di girare in mutande con zoccoli e calze rigate, in puro stile mitteleuropeo.

Come se non bastasse in casa sua, steso per terra, c’è il cadavere del padrone di casa (un quasi irriconoscibile Peter Stormare).

Gli appartamenti circostanti sono abitati da individui non meno pazzoidi: uno scoppiato e fattissimo Johnny Knoxville, un burbero artista vecchio e solitario (James Caan) e un’aspirante ballerina di lap dance un po’ zoccola (Juno Temple).

Non è un thriller, non è una commedia e nemmeno un dramma: Small Apartments è un film grottesco ben strutturato, nel quale a poco a poco vengono svelati particolari rivelatori (riguardo la morte dell’affittuario e non solo), dando luogo a momenti di black humor al limite del paradossale.

Due figure antitetiche ritornano più volte nel corso della pellicola: l’ispettore privato Walnut, interpretato da un malinconico e alcolizzato Billy Crystal e il sedicente Dottor Sage Mennox, un impomatato e borioso Dolph Lundgren che ricorda da vicino il viscido personaggio interpretato da Patrick Swayze in Donnie Darko.

Ad arricchire un quadro di stramberie e disagio c’è pure il fratello di Franklyn, ospite di un istituto psichiatrico, reso in maniera piuttosto convincente da James Marsden.

Questo film mi ha fatto tornare alla mente altre pellicole weird apprezzate in passato, come Elling, Ex- Drummer e, ovviamente, l’opera prima di Jonas Åkerlund, Spun.

Allegri perbenisti e edonisti si astengano, questo film mostra un’accozzaglia di freak che nessuno presenterebbe ai genitori, casi umani che svelano inaspettatamente persino delle qualità.

Ben vengano prodotti come questo, in grado di mettere in luce aspetti solitamente trascurati perché considerati sgradevoli. Qui il brutto, il marcio e l’imperfetto la fanno da padroni, senza per questo sminuire un film intelligente e fuori dagli schemi.

Sia ben chiaro, Small Apartments non inventa nulla, ma il suo sporco lavoro di outsider in un panorama indie fin troppo inflazionato e stucchevole lo fa piuttosto bene.

Åkerlund è un regista da tenere d’occhio e penso che si toglierà diverse soddisfazioni; spero soltanto che non si svenda, ipnotizzato dal falso eden del cinema mainstream.

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