Quelli che aspettano “Territori Noir: Sugarpul Festival 2012”: un’intervista multipla a tutti i protagonisti del prossimo Sugarpulp Festival. Oggi diamo il benvenuto a Omar di Monopoli:
Cosa ti aspetti dallo Sugarpulp Festival?
La solita canea di appassionati e fan che si confrontano scambiandosi critiche e pareri, immersi in una atmosfera di amicizia e consapevolezza di ciò che si legge (e si ama)!
Quanto contano gli aspetti legati al territorio (o ai territori) nei tuoi lavori?
Il territorio è il fulcro seminale di tutto il mio lavoro: attraverso il genere da anni sto provando a raccontare (e raccontarmi) un sud diverso da quello patinato e folcloristico che le associazioni turistiche stanno (s)vendendo al mondo…
Secondo te si pubblica troppo?
Purtroppo sì, è evidente, ma sono altresì convinto che alla lunga la qualità paghi: certo, di questi tempi è dura aspettare che il lettore smaliziato si accorga di ciò che vale nella miriade di libri da macero…
Editoria digitale (dall’ebook al selfpublishing, da Apple a Amazon): che ne pensi?
Con mia gradita sorpresa, i miei libri vendono parecchio in versione digitale, per cui, bando alle ipocrisie: è una cosa che fa bene (certo, il libro di carta è tutta un’altra cosa!)
Il podio dei tuoi film preferiti.
«Il Mucchio Selvaggio», «Il Buono, il Brutto e il Cattivo» e «Quei Bravi Ragazzi» più un film a caso di Ingmar Bergam…
Meglio Twitter o Facebook?
Nessuno dei due, chi mi vuole mi trova sul blog!
Consigliaci un autore da invitare al festival 2013.
Puntiamo in alto: facciamo venire il Re Stephen King? O almeno Jack Ketchum, il suo erede degenere…
Cinque aggettivi per definire la tua scrittura.
Barocca, ritmata, cruenta, meticcia e meridionale!
La colonna sonora del tuo ultimo romanzo.
Closer dei Joy Division…
I tre romanzi che ti hanno influenzato di più, sia come persona che come autore/autrice.
«Luce d’Agosto» di William Faulkner, «Il cielo è dei violenti» di Flannery O’Connor e «Meridiano di Sangue» di McCarthy.
Il libro che non sei mai riuscito a finire di leggere.
Il solito Proust col suo «Alla ricerca del tempo perduto»