System Crasher, la recensione di Silvia Gorgi del film di Nora Fingscheidt che ha vinto il premio del pubblico al TiFF – Transilvania International Film Fest 2019.

È un crash emotivo quello che si scatena dentro, non gestibile, non controllabile, esplode e genera rabbia e aggressività, che finiscono per pervadere tutto. Il sistema va in crash, così si descrive quella furia violenta senza freni che avvolge la mente di alcuni bambini cosiddetti problematici.

E proprio una di loro, una bimba di nove anni, è la protagonista di questa storia. Con un passato di abusi e violenza, sola da un punto di vista emotivo, scoppia in crisi in rabbia, e nessuno è in grado di tenerla sotto controllo, neppure, pur provandoci, l’intero sistema assistenziale tedesco. Un sistema fatto di regole e step, anche quando la materia da dominare è così difficile da stabilire e da incasellare poiché si tratta di pura emotività.

Racconta i limiti, le difficoltà, la tensione, generate da situazioni di questo tipo, la regista Nora Fingscheidt, documentarista, con System Crasher, qui alla sua prima prova in un lungometraggio. E quell’approccio al cinema reale si vede tutto nella sua narrazione, che ha al centro della vicenda, Benni, un angelo biondissimo, che solo in pochi momenti, ha l’aria davvero angelica, mentre, molto spesso, sembra piuttosto posseduta da un demonio.

E non si tratta certo di un horror, ma di realtà, e la pellicola, selezionata al Festival di Berlino 2019 (dove ha vinto il Silver Bear Alfred Bauer Prize), al TIFF, Transilvania International Film Festival, è stata in competizione, e si è vista assegnare il premio del pubblico, che alla fine di tutte le proiezioni può esprimere il suo giudizio attraverso una scheda sia fisica, che virtuale (per i più tecnologici passando per un app).

La giovane attrice, diretta con grande maestria, al centro della storia è Helena Zengel, la sua è un’interpretazione folgorante, Benni sarà molto difficile da dimenticare.

Systemsprenger, questo il titolo in tedesco, analizza un sistema sociale, quello della famiglia, della scuola, delle istituzioni, e l’incapacità dell’intero sistema di prendersi cura dei cosiddetti “soggetti difficili”, nonostante la buona volontà di qualche operatore che lavora nel settore.

Benni, quando è nel mezzo delle sue crisi di rabbia, diviene una belva da cui gli adulti devono difendersi, una bimba traumatizzata, cresciuta fra abusi e violenza, e sola da un punto di vista affettivo. La madre debole emotivamente non è in grado di crescerla, e sono dunque i servizi sociali e la sanità a tentare ogni via per dare una sistemazione alla piccola, dalla casa-famiglia all’affido.

Solo che per Benni ogni tentativo finisce per divenire un fallimento, e lei vorrebbe stare solo con la madre, cui anela e da cui viene sempre allontanata. Solo un educatore tenta una via diversa, Micha (Albrecht Schuch), con alle spalle un passato difficile, che, grazie a qualche giorno nel bosco, lontani da tecnologia, e altre distrazioni, riesce a sviluppare, con la bambina, un rapporto speciale, talmente speciale, che diventa per lui stesso difficile da sostenere, perché Benni ha bisogno d’affetto e d’amore, e non incontrandolo mai, quando una porta le si apre davanti può diventare per lei un ennesimo problema, visto che non è in grado di gestire la sua parte emotiva con dei limiti, e il suo affetto diviene subito assoluto.

Un film intenso, che ti prova, e che come ha dichiarato la stessa regista, nel corso della sua permanenza a Cluj-Napoca, al TIFF2019, vuole analizzare anche un sistema che va in crash, e non si tratta solo delle emozioni di questi bambini problematici, ma delle strutture e istituzioni che dovrebbero in qualche modo prendersene cura e che troppo spesso rispondono a regole e passaggi “ingessati” che poco hanno a che fare con i sentimenti delle persone coinvolte, come nel caso della protagonista, Benni, troppo piccola per essere inserita in programmi specifici, troppo violenta per le case famiglia, e molto vicina a subire un trattamento con psicofarmaci per curare le malattie neurologiche, che in lei non sortisce effetto.

Montaggio sincopato, una performance pazzesca da parte della giovane attrice bambina, che riesce ad essere a tratti dolce come ci si aspetterebbe da una bimba della sua età, piena di un’energia incontenibile, ed anche tremendamente pericolosa, visto che può pattinare felice e un attimo dopo sbattere la testa della compagna di giochi sul ghiaccio fino a farle perdere i sensi.

Ottima anche, insieme al bravo Schuch, nel ruolo di Micha, Gabriela Maria Schmeide, che interpreta Maria Bafanè, un assistente sociale, così umana ed affettuosa, sempre pronta a battersi per il bene di Benni, che finisce per essere commovente. Difficile trovare una soluzione, fra l’impotenza degli educatori, la debolezza della madre, la rigidità delle istituzioni, un fallimento generale, che fa riflettere, e che restituisce allo spettatore molti spunti di riflessione: un film in grado di scuotere le coscienze.