The Banshees of Inisherin, la recensione di Matteo Strukul del film di Martin McDonagh in concorso a Venezia79
The Banshees of Inisherin, il nuovo film di Martin McDonagh è, per certi versi, la sua pellicola più folle dai tempi di In Bruges e si fonda su una trama che è sottile come un filo. Ma il regista britannico è maestro nel paradosso e nella scrittura di dialoghi pungenti, caustici, comici, tragici, grotteschi, bizzarri. E The Banshees of Inishering è la quintessenza del suo cinema. Che deve tra l’altro parecchio al teatro, alla base del lavoro di McDonagh noto anche come commediografo se è vero che ha vinto tre Laurence Olivier Award e ha ricevuto quattro candidature ai Tony Award.
Una piccola isola al largo dell’Irlanda. Due amici: Padraic, uno strepitoso Colin Farrell, e Colb, un corrucciato e altrettanto bravo Brendan Gleeson. Quest’ultimo decide, di punto in bianco, che l’amico non gli va più a genio e gli chiede di non rivolgergli più la parola. Questo fatto manda Padraic, più gentile e affabile, completamente in crisi. La vita sull’isola, già avara di emozioni e obiettivi, diventa ancora meno sopportabile.
Perciò Padraic non si arrende e nella sua disperata ricerca di una motivazione al rifiuto, si trasforma, suo malgrado, in una sorta di stalker. Al punto che l’amico gli promette che, se continuerà a rivolgergli la parola, procederà con il tagliarsi l’indice, il dito fondamentale per chi, come lui, suona il violino. A seguire, tutte le altre dita della mano.
La minaccia suona inizialmente folle e irrealizzabile ma la situazione va peggiorando con una violenza e un’imprevedibilità che portano Padraic a ricredersi amaramente.
Una favola nera
Quella che è una storia inizialmente risibile diventa ben presto un fatto molto serio, in grado di coinvolgere tutta l’isola, a cominciare dalla sorella di Padraic, Siobhan, interpretata da Kerry Condon in modo meraviglioso.
Così, fra una regia sempre sontuosa, capace di rendere in modo splendido la sublime magnificenza di un’isola di pastori, vergine nel suo verde intenso e selvaggia con falesie a strapiombo sul mare, Martin McDonagh scrive e dirige una favola a tratti nera, punteggiata da dialoghi divertenti e paranoici quanto basta, toccando a tratti il film in costume, data l’ambientazione di inizio Novecento, con personaggi tanto lunatici e bizzarri quanto intensi sono gli attori nell’incarnarli.
Il regista e sceneggiatore britannico, del resto, ci ha abituati a questi piccoli miracoli: film che cominciano con un piccolo sgarbo e che poi conducono a una catena di eventi apparentemente innocui fino a quando non progrediscono al punto da condurre protagonisti e spettatori in una situazione talmente impensabile e colma di rancore da lasciare spiazzati.
Come già in Three Billboards outside Ebbing, Missouri, film che proprio a Venezia qualche anno fa vinse il Premio Osella per la miglior sceneggiatura ma che avrebbe invece meritato almeno una Coppa Volpi femminile a Frances McDormand e soprattutto un Leone d’Argento alla miglior regia o direttamente un Leone d’Oro, anche in The Banshees of Inisherin c’è un microcosmo di personaggi minori che completano meravigliosamente questa ballata irlandese di sangue e rancore, come lo spiantato Dominic – Barry Keoghan anche lui bravissimo – sfortunato innamorato della sorella di Padraic o il padre di quest’ultimo, il violento e ottuso poliziotto Peadar che ha il volto e la grinta di Gary Lydon.
Dialoghi scintillanti per un film bizzarro
Ne esce un film dai dialoghi scintillanti, apparentemente bizzarro nel suo inizio eppure capace di condurre lo spettatore fino al sorprendente finale, grazie a una scrittura sensibile, attenta, perfetta nel dosare i ritmi lenti, necessari a costruire personaggi unici, originali, difficilmente trovabili in un cinema che non sia quello di McDonagh a meno magari di non essere Quentin Tarantino o i fratelli Cohen.
The Banshees of Inisherin diventa così un serio pretendente al Leone d’Oro, complice fra l’altro il risarcimento al quale McDonagh sembra avere diritto dopo l’imperdonabile smacco subito a Venezia 74, quando Three Billboards outside Ebbing, Missouri venne molto penalizzato in favore di altri film come Foxtrot di Samuel Maoz, tanto per citarne uno, vincendo poi 2 Premi Oscar, 4 Golden Globe e 5 Bafta. Come a dire che forse, quella volta, la giuria fece davvero un errore.
The Banshees of Inisherin è sicuramente meno perfetto di quel film, meno completamente a fuoco, meno mainstream, meno impegnato anche, ma proprio per questo ha dalla sua un’originalità rara, un’autorialità prepotente e, in definitiva, più di un motivo per portarsi a casa un Leone d’Oro o d’Argento. Staremo a vedere. Il mio consiglio è di andare a vederlo in sala non appena uscirà.