The Boys 2, la recensione di Carlo Vanin della seconda stagione della serie tratta dai fumetti di Garth Ennis.
The Boys 2 è un titanico dito medio alla scrittura. Non si può neppure parlare di buchi di trama, dato che la trama è talmente sfilacciata da diventare ininfluente.
È un catalogo di cose che succedono. Il 99% di queste cose sono dialoghi del cazzo su interiorità, sentimenti, affetti parentali, motivazioni e tutto ciò che non vorreste mai vedere in una cosa che parla di supereroi.
Il restante 1% sono istantanee esplosioni di violenza splatter. Come dire: la vostra pazienza nell’ascoltare cinquanta minuti di paturnie di Hugie è premiata con una testa che esplode.
Grazie, sai, ma a dodici anni il mio eroe era Toxie di Toxic Avenger e non ho più voglia solo delle sveltine gore, adesso come adesso preferirei un rapporto completo con le coccole alla fine. Fuor di metafora (che stava diventando inquietante, lo so): un po’ più d’azione non sarebbe guastata.
Perché il resto, quello che si vede, è noia. Ci sono però duemila tipi di noia diversa. La noia di The Boys 2 è quella che nasce quando senti parlare quel parente un po’ rintronato che abbiamo tutti, quello che ripete i concetti cento volte, ci torna sopra e li cambia, si contraddice, si commuove mentre li espone e poi ricomincia daccapo.
Una stagione decostruita (ma pure troppo)
The Boys 2 è un florilegio di personaggi con motivazioni che cambiano ogni due secondi, “unghie” di scrittura in cui in un minuto scarso cade dall’alto un punto fondamentale del plot, vagheggi e peregrinazioni di personaggi che vanno sù e giù senza concludere un menga.
Lo scopo è chiarissimo: allungare il brodo. Da una trama che poteva riempire due ore massimo, ci tiriamo fuori otto puntate. Insomma, la malattia genetica delle serie contemporanee che, ok, magari non raggiunge gli estremi delle serie dei Defenders, ma quasi ci siamo.
Abbiamo capito, dopo il medioevo delle serie di supereroi e il rinascimento delle serie di supereroi, adesso siamo al postmoderno delle serie di supereroi.
Tutto dev’essere decostruito e ok, vieni a casa mia se parli di decostruzionismo e postmoderno. Ma certo, decostruire non vuol dire smontare una roba e aggiungerci ore e ore tratte dai telefilm di Inga Lindstrom.
Peccato, perché è come mettere la pralina di cioccolato più buona del mondo sopra una torta di mucca.
C’è solo un fattore di redenzione in The Boys 2 ed è probabilmente il fatto che vi appare il miglior personaggio di una serie tv dell’universo (esagero, ok), e cioè il Patriota, il mio nuovo mito.
Un misto fra il superman di Injustice, Trump e il super-bambino di Brightburn con un tocco di parafilie assortite. Peccato per l’attore Anthony Starr che ha fatto un super (è il caso di dirlo) lavoro, ma che non riuscirà più a fare nient’altro perché questo gli è venuto troppo bene e sarà per sempre identificato con l’onnipotente psicopatico.
The Boys 2, giudizio finale
Giudizio finale: una Fresca su cinque. Cinque se scorriamo veloce tutti i dialoghi come in un porno e guardiamo solo le scene col Patriota.